11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 24 ottobre 2017

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Così rialzatasi a sedere sul letto, e a sedere, nella fattispecie, con i propri glutei sui talloni, ella si osservò attorno, incontrando con il proprio sguardo, oltre a due finestre e a una porta, tutti egualmente di vetro opacizzato, anche un ampio specchio, uno specchio sul quale ebbe occasione di contemplare la propria immagine riflessa, in grazia alla quale, oltre ad avere riprova della propria già compresa nudità, particolare che non avrebbe potuto né sconvolgerla, né tantomeno preoccuparla, nella quieta, serena accettazione che da lungo tempo, da sempre in pratica, avrebbe potuto vantare con il proprio stesso corpo, ella poté osservare la presenza di una sorta di pellicola azzurro trasparente applicata, quasi una seconda pelle, lungo tutta la metà superiore della propria schiena, a coprire quella che, immediatamente, non riuscì a essere riconosciuta qual una ferita gradevole… anzi. Qual effetto del colpo al plasma ricevuto, quel che ancora avrebbe potuto essere giudicato riconoscibile della sua epidermide si mostrava chiaramente fuso insieme alla sua carne, in una resa finale tutt’altro che piacevole allo sguardo, un’ustione terrificante che, sicuramente, doveva aver già veduto impostole un primo intervento chirurgico, ad asportare, allora, quanto parimenti, doveva essere stato precedentemente anche frammischiato con la stoffa dei suoi abiti, come comprovato dalla rimozione, in diversi punti, di quell’orrido ammasso, prima che, il tutto, fosse poi ricoperto da quello strato trasparente, di qualunque natura esso avesse a dover essere considerato.
Non provando in quel momento, comunque, particolare dolore, ella comprese poter essere una mossa sufficientemente intelligente quella volta a mantenere intatta quella strana medicazione, qual essa ebbe a considerare, premurandosi, piuttosto, di dedicare i propri sforzi a comprendere dove ella fosse stata condotta, come lì fosse giunta e, soprattutto, perché, nella sua confusa memoria a breve termine, avrebbe avuto a dover essere considerata presente l’immagine di El’Abeb o, quanto meno, l’ultima incarnazione di El’Abeb prima che egli divenisse tale, quand’ella ancora lo aveva conosciuto semplicemente come un guercio tranitha… un uomo che, in quel particolare momento, avrebbe avuto a doversi considerare a non meno di un intero universo di distanza da lei e che, per questo, certamente, non avrebbe potuto essere coinvolto nel suo soccorso. O nella sua cattura, a seconda di come, quella situazione, avesse avuto a dover essere riconosciuta.
Al di là del mobilio, e della biancheria da camera, il resto della stanza avrebbe avuto a dover essere analizzato qual fondamentalmente privo di qualunque altro accenno d’ornamento, in misura tale da farla sembrare prossima a una cella, se non fosse stato che nulla lì attorno, e, tantomeno, le porte e le finestre lì presenti, avrebbero potuto riservarsi coerenza alcuna con l’idea stessa di una cella. Pur non essendo mai stata ricoverata in un ospedale, la Figlia di Marr’Mahew non poté ovviare a supporre che, alla fine, quella avesse avuto a dover essere considerata, effettivamente, qual una camera d’ospedale e che lei, che potesse volerlo o meno, fosse alfine stata lì condotta, anche contro il proprio volere, al momento della sua perdita di coscienza. Nell’assenza, tuttavia, di qualunque genere di macchinario preposto al monitoraggio delle sue condizioni di salute, anche l’ipotesi di una stanza di ospedale avrebbe avuto a perdere parzialmente di valore, di credibilità, suggerendo la necessità di esplorare qualche diversa ipotesi, qualche altra soluzione, ma, al tempo stesso, in ciò, includendo una così amplia schiera di opportunità tale per cui decisamente difficile sarebbe stato riservarsi una qualunque possibilità volta all’azzardo, al punto tale da rendere qualunque sforzo a indovinare la realtà dei fatti un superfluo esercizio di stile, in alternativa al quale molto più semplice, diretto, immediato, sarebbe stato per lei andare a verificare, di persona, quanto potesse allor star circondandola.
Verificata la possibilità fisica a muoversi, e a muoversi con sufficiente coordinazione, e confermata l’assenza di qualunque abito, o assimilabile, lì attorno, fosse anche delle mutandine e un reggiseno o una canottiera, laddove anche il mobilio pur presente avrebbe avuto a doversi riconoscere egualmente vuoto al pari del resto della stanza, la donna guerriero, ormai alzatasi dal letto e pronta a muoversi al di fuori dei confini propri di quelle mura, escluse la possibilità di dimostrare sufficiente pudore per coprire le proprie nudità con il lenzuolo, avvolgendosi in esso, giacché, banalmente, tutto ciò le avrebbe ostacolato in maniera estremamente spiacevole i movimenti, in misura tale per cui, francamente, l’eventuale beneficio derivante non sarebbe riuscito a dimostrarsi superiore all’impiccio. E nel non ovviare alla semplice e sincera verità di quanto, comunque, anche l’eventuale beneficio a cercar di celare le proprie vergogne, avrebbe avuto a doversi considerare più per un suo eventuale interlocutore o avversario, ancor prima che per lei; assolutamente quieta avrebbe avuto a dover essere per lei riconosciuta la totale inutilità di una simile premura, al punto tale da ignorarne semplicemente la necessità.
Nuda, quindi, ma non inerme né tantomeno disarmata, laddove nella sua formazione personale al combattimento e alla guerra, nonché nella presenza del suo arto destro alimentato all’idrargirio, ella avrebbe avuto a doversi considerare ben più letale di un piccolo contingente militare, pur di soldati scelti, la Figlia di Marr’Mahew, splendida allora così come nel giorno in cui si era guadagnata simile titolo, si avviò con una certa discrezione verso la porta, già pronta ad agire con la forza necessaria per forzarla, o sfondarla, laddove, certamente, quel vetro non avrebbe rappresentato un ostacolo per la sua protesi cromata. Ciò non di meno, e non senza una certa sorpresa, ella non poté mancare di constatare quanto alcuna azione in tal senso le sarebbe stata richiesta, posta innanzi alla semplice verità di quanto, allora, quella soglia, quel passaggio, non fosse in alcun modo bloccato, garantendole, di conseguenza, la quieta possibilità a uscire da quella camera, camera che, a confronto con tale evidenza, certamente non avrebbe più potuto essere accomunata al ruolo di cella, laddove, altrimenti, avrebbe avuto a doversi considerare qual la cella più inutile dell’intero Creato.
Dischiudendo lentamente la porta, e rendendosi conto di quanto, allora, fosse a scorrimento, la donna iniziò a gettare il proprio sguardo oltre la medesima, francamente sempre più curiosa di poter comprendere ove accidenti fosse finita. E quanto vide ad attenderla là fuori non fu nulla di più complesso, nulla di più particolare o affascinante, dell’interno di un appartamento, un concetto con il quale, francamente, ella non avrebbe potuto vantare particolare confidenza, non avendo ovviamente mai vissuto in un contesto assimilabile, e, ciò non di meno, un concetto che non avrebbe avuto a doversi considerare per lei così ignoto, nell’essere altresì parte di tutti quei particolari aspetti della vita quotidiana al di fuori del suo pianeta natale che, nel corso di quell’ultimo anno, si era impegnata a scoprire, a esplorare, se non fisicamente, se non in prima persona, quantomeno attraverso materiale fotografico. Così, spingendo la propria attenzione oltre quella soglia e rendendosi conto di star osservando un corridoio di disimpegno, lungo il quale almeno altre tre porte avrebbero avuto a dover essere contate prima di giungere, sulla sua sinistra, a uno spazio più amplio, a una nuova stanza non celata alla vista e, probabilmente, assimilabile al soggiorno di quell’appartamento, ella non poté ovviare a formulare la domanda più semplice, e allor più corretta, che mai avrebbe potuto riservarsi: nell’appartamento di chi ella era capitata… o, per meglio dire, era stata condotta a sua più assoluta insaputa, approfittando del forse lungo, forse breve, impossibile in quel momento per lei valutarlo, momento di assenza involontariamente concessosi?
E, quasi a volerle offrire allora soddisfazione a tale quesito, a simile interrogativo, un leggero fischiettare catturò la sua attenzione in direzione del soggiorno e, in effetti, ancor più in là, verso qualche altra sala più avanti, forse la cucina, comprovando quanto, in quel mentre, ella non avrebbe avuto a doversi considerare sola all’interno di quell’appartamento. Una melodia allegra, e tutt’altro che ostile, quella che ebbe allora ad ascoltare, a fronte della quale pur non si volle riservare l’opportunità di mantenere alta la guardia, psicologicamente parlando, nell’essersi appena risvegliata da uno speranzosamente breve periodo di incoscienza proprio in chiara conseguenza a un assimilabile errore precedente, nel ripetere il quale, quindi, avrebbe soltanto dimostrato tutta la propria più palese stolidità, offrendo inappellabile ragione a coloro i quali, in qualunque pianeta o cultura, non avrebbero mancato di asserire l’esistenza di un rapporto di inversa proporzionalità fra la circonferenza della sua cassa toracica, compresa di seni, e il suo quoziente intellettivo.

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