11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

www.middaschronicles.com
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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 15 ottobre 2017

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Benché, a differenza di un più classico concetto di porto, ben noto anche a Midda, o a quello di aeroporto, a lei meno familiare e che pur, altresì, per tutte le specie giunte, alfine, a viaggiare nelle immensità siderali, quello proprio di spazioporto non avrebbe avuto, in verità, una qualche particolare esigenza nella propria collocazione geografica, giacché, comunque, salvo rare eccezioni, le astronavi non avrebbero mai superato i confini propri dell’atmosfera di un pianeta, nella difficoltà e nei rischi che ciò avrebbe comportato, nel preferire, piuttosto, garantire il trasferimento di persone e, anche, di merci, attraverso delle navette di dimensioni più contenute, e concepite, studiate proprio per tale scopo, e in questo permettendo paradossalmente la realizzazione di uno spazioporto anche in pieno centro urbano, senza né disturbo, né rischi alcuni per la popolazione lì residente; forse per una sorta di inconscio retaggio, nell’organizzazione di una città, di una metropoli o, ancor più, di una megalopoli, qual pur avrebbe avuto a dover essere legittimamente valutata la stessa Thermora, difficilmente si sarebbe concepita l’idea di localizzare lo spazioporto effettivamente all’interno dei confini urbani, preferendo continuare a mantenere un certa, superflua e immotivata, separazione fra le zone abitate e, altresì, l’area dedicata a tali attività. Area che, ciò non di meno e al di là del proprio supposto isolamento, al pari di qualunque porto, avrebbe avuto a dover essere tuttavia riconosciuta qual straordinariamente brulicante di attività commerciali, alberghiere e ricreative, in quel medesimo inconscio retaggio volto a considerare, simile luogo, una sorta di zona franca, là dove, sotto diversi aspetti, anche le leggi proprie della città, o dell’intero pianeta, avrebbero comunque avuto minore valore, sarebbero state applicate con minore severità, in un’implicita, informale e pur indiscussa maggiore tolleranza verso quanto, altrimenti, non sarebbe stato accettato. Non raro, pertanto, sarebbe stato poter trovare, in molti pianeti, in molti sistemi, case da gioco o case di piacere nei dintorni degli spazioporti, in misura tanto più frequente quanto più distante fosse stato costruito il medesimo, al punto tale, addirittura, da vedere intere lune trasformate in versioni moderne della sempre cara Kriarya, laddove, in tal contesto, fosse stato preferito delocalizzare il traffico proprio di uno spazioporto dal pianeta a uno dei suoi satelliti. Nel caso specifico di Thermora, tuttavia, tale iperbole non avrebbe avuto a dover essere considerata esistente, laddove, pur isolato dal contesto cittadino, lo spazioporto più vicino era stato realizzato a meno di un’ora di viaggio dal centro della città, ragione per la quale, pur non mancando dei locali non propriamente adatti a un contesto familiare, simile realtà non avrebbe avuto a dover neppure essere posta in confronto con quella propria della città del peccato.
Approfittando, quindi, di una sosta di rifornimento della Kasta Hamina in orbita attorno al quarto pianeta del sistema binario di Fodrair, e lì atterrati grazie a una delle navette della Kasta Hamina nello spazioporto di Thermora; Mars, Lys’sh e Midda si erano sospinti sino al centro della città, e a una delle sue zone più ricche, più importanti e, in questo, contraddistinte dai migliori centri commerciali, per garantire al meccanico di bordo di svolgere le proprie commissioni, di procedere con i propri acquisti, ovviamente precedentemente autorizzati dal capitano, per quelle particolari finalità da lui dichiarate. Finalità conseguite le quali, quindi, il piccolo contingente avrebbe potuto riservarsi occasione di fare ritorno allo spazioporto, e di lì alla nave, in tempo per cenare con tutti i propri altri compagni, con la loro piccola, grande famiglia. E se, per giungere sino al centro città, i tre si erano serviti dei mezzi pubblici, rappresentati nella fattispecie da uno straordinario treno a levitazione magnetica, in grado di coprire l’ampia distanza esistente rispetto allo spazioporto in, appunto, poco meno di un’ora di viaggio; medesima soluzione non avrebbe potuto essere scelta anche per il ritorno, in quanto, sicuramente, quella contraddistinta da un miglior rapporto qualità-prezzo fra tutte le alternative alle quali avrebbero potuto volgere la propria attenzione. Un viaggio di ritorno estremamente tranquillo, quello che li avrebbe quindi dovuti attendere, al punto da poter risultare addirittura noioso nella propria occorrenza, era ciò al quale Mars e Lys’sh si erano psicologicamente preparati, nell’attendere l’arrivo del treno e nel salire, al momento opportuno, a bordo dello stesso, nel vagone loro assegnato dai propri biglietti: un viaggio di ritorno che ebbe, tuttavia, a dimostrarsi ben lontano dal potersi considerare tale, nel momento in cui, un solo istante prima della chiusura delle porte oltre alle quali erano saliti per ultimi, lì attendendo pazientemente il deflusso della folla di passeggeri per potersi avviare alla ricerca dei propri posti a sedere, in maniera del tutto improvvisa, imprevista e inattesa, Midda ebbe a catapultarsi giù dal treno, abbandonandoli all’interno del medesimo senza più possibilità di scendere e di raggiungerla.

« Ma cosa…?! » esclamò attonito Mars, nell’osservare la propria compagna compiere quel gesto del tutto immotivato, ponendo le porte, ormai chiuse, del treno, fra loro, e, non paga, da lì allontanandosi di corsa, all’inseguimento di qualcosa di non meglio definito, non, quantomeno, alla di lui attenzione.
« Midda! » sussultò contemporaneamente Lys’sh, non meno sorpresa rispetto al proprio compagno, non potendosi attendere quella fuga così assurda da parte della propria amica, della propria sorella maggiore, la quale, al di là di qualunque pur comprensibile stranezza, in quell’ultimo anno insieme aveva sempre dimostrato una straordinaria razionalità, un carattere che difficilmente avrebbe potuto prevedere l’esecuzione di un qualunque gesto senza una solida ragione alla base del medesimo, qual pur, in quel particolare frangente, ella non era in grado di cogliere, di comprendere.

Quanto né Mars, né Lys’sh, per ovvie ragioni, avrebbero potuto effettivamente cogliere, nelle possibili motivazioni alla base del comportamento della donna, sarebbe stata infatti l’inattesa comparsa, davanti allo sguardo, agli occhi color ghiaccio della stessa, di una coppia di bambini sulla banchina della stazione, una coppia di pargoli che, per chiunque altro, probabilmente, sarebbe in quel momento, in quel contesto, risultata del tutto anonima, due volti come tanti altri e, in questo, privi di particolari ragioni di attrazione nei loro stessi confronti, ma che, per la donna guerriero avrebbero altresì rappresentato un discorso rimasto spiacevolmente in sospeso, un perché non ancora esplicitato, tale da stuzzicare la sua fantasia, il suo interesse, in termini di fronte ai quali ella non sarebbe stata in grado di sottrarsi, anche laddove, tutto ciò, avrebbe probabilmente significato rinnovare la propria consueta ricerca di guai e, soprattutto, separarsi tanto repentinamente, e tanto incomprensibilmente, dai propri compagni, dai propri amici. Nulla di nuovo, nulla di inedito per lei, e per coloro che, da più tempo, avrebbero potuto vantare confidenza con lei; qualcosa di altresì spiazzante per Mars e Lys’sh che, pur a lei non estranei, pur avendo già condiviso, con lei, un avventuroso anno insieme, non avrebbero potuto considerarsi effettivamente confidenti con simili, disorientati gesti… non ancora, quantomeno.

« Perché diamine ha fatto una cosa simile…?! » si interrogò, retoricamente, il meccanico, nel mentre in cui il treno iniziò a porsi in moto, destinato a trasportarli, in breve, a decine di miglia da quella stazione e da lei.
« Non lo so. » replicò l’ofidiana, gettandosi contro la porta chiusa dietro di loro per premere ripetutamente il tasto preposto all’apertura della medesima, un pulsante, tuttavia, in quel frangente già disabilitato, già privato di ogni possibilità d’uso, per non superflue ragioni di sicurezza, nell’avvenuta pressurizzazione del vagone e nell’inizio del viaggio « Non c’è nessun dannato modo per fermare questo treno e aprire questa porta?! » protestò poi, picchiando i palmi aperti delle mani contro il doppio vetro blindato della stessa, più per frustrazione che nella speranza di conseguire realmente un qualsivoglia risultato.
« Potremmo far scattare l’allarme e, dopo l’arresto del treno, chiedere l’apertura d’emergenza delle porte… » rispose Mars, scuotendo appena il capo « Ma in assenza di una motivazione concreta per un simile gesto, nel migliore dei casi saremmo scortato alla più vicina centrale di polizia per accertamenti. E, oltre a vanificare completamente quanto compiuto, questo complicherebbe sicuramente molto più le cose. » argomentò, in maniera incredibilmente razionale, nel disapprovare, nell’escludere, pertanto, simile linea d’azione, preferendo, altresì, tentare di procedere in termini un po’ meno drastici.

Termini, quelli da lui scelti, che lo videro estrarre il proprio comunicatore, nella speranza, in ciò, di potersi riservare opportunità di parlare con la fuggitiva… sempre nell’ipotesi, tutt’altro che ovvia, che ella si fosse ricordata di mantenere acceso il proprio.

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