11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 6 luglio 2013

1993


In occasione del loro ultimo incontro, oltre un anno prima, la Campionessa di Kriarya era dovuta scendere a patti con un’inattesa versione della propria gemella che, quasi in una condizione di inconsapevolezza della propria condizione, di chi fosse divenuta e di come ciò fosse accaduto, aveva dimostrato un comportamento prossimo alla schizofrenia, nel ritrovarsi, sicuramente proprio malgrado, ancora incapace di gestire con cognizione di causa la propria nuova condizione e, soprattutto, la nuova ospite all’interno del proprio stesso corpo. Anche in ciò, nel confronto con tale evidenza, a Midda era stata concessa la possibilità di intuire, prima, e comprendere, poi, cosa avesse dovuto essere giudicato occorso anche a discapito del già fragile equilibrio mentale della propria amica Carsa Anloch, la quale, aveva dedotto, essere stata fra le prime vittime della regina Anmel Mal Toise e della sua ancor più terrificante dominatrice, l’Oscura Mietitrice.
Che Carsa Anloch… anzi, Ah'Reshia Ul-Geheran, qual aveva scoperto essere il suo vero nome, la sua reale identità, avesse sofferto di problemi di ordine mentale, ormai, avrebbe dovuto essere accettata qual verità di fatto, evento noto nel confronto con il quale bene minima possibilità di argomentazione avrebbe potuto essere addotta. Cresciuta, infatti, in un tragico contesto familiare, scopertosi, oltretutto falso, la giovane Ah'Reshia era stata praticamente costretta a smarrire il proprio senno, nella necessità di sopravvivere, divenendo una donna completamente diversa, una donna nuova, non più sottomessa erede di un’antica e nobile dinastia y’shalfica, ma audace combattente, guerriera in grado di sovvertire l’ordine naturale delle cose nello stesso identico modo di un’altra straordinaria donna che, negli anni di quella sua fanciullezza, aveva iniziato a far conoscere il proprio nome in quell’angolo di mondo: Midda Bontor. Proprio a lei, e al ricordo di una madre purtroppo mai conosciuta, Ah'Reshia si era quindi ispirata per dare vita a Carsa Anloch, non semplicemente un nuovo nome, ma una nuova versione di sé, del tutto inconsapevole di quanto fosse accaduto per condurla a essere chi era divenuta. E proprio verso di lei, e forse, ancora, verso il ricordo di quella madre guerriera che non le era stata offerta occasione di conoscere, Carsa Anloch aveva rivolto tutte le proprie più forti emozioni, alternandosi, follemente, fra un amore assoluto e sconvolgente, e purtroppo destinato a restare per sempre non corrisposto da parte di colei che pur non avrebbe potuto essere in grado di presentarsi interessata a quanto ella avrebbe avuto a offrirle, e un sottile e rancoroso odio, in ascolto al quale, ineluttabilmente, ella si era presentata a lei nemica e avversaria quasi nella stessa identica misura in cui si era presentata amica e alleata. Un rapporto, di per sé, già molto, troppo complesso, che aveva visto minare completamente ogni suo più intimo equilibrio nel momento in cui, in giuoco, aveva fatto il proprio ingresso anche la regina Anmel Mal Toise, che, dopo non aver ottenuto quanto sperato in lady Lavero di Kirsnya, aveva provato a instaurarsi in lei, sfruttando quella sua tutt’altro che latente schizofrenia per escludere, integralmente, ogni altra coscienza al di fuori di quella che, a lei, sarebbe stata più congeniale per raggiungere il proprio scopo. Uno scopo che, solo tardivamente, si era scoperto essere quello di giungere a chi solo avrebbe potuto essere ospite perfetto per lei, nonché tramite ideale per definire la fine della vita dell’unica donna mortale che mai avrebbe potuto rappresentare per lei una minaccia. Perché, nell’amore che, malgrado tutto, legava profondamente una parte del cuore di Carsa, e di Ah'Reshia, alla figura di Midda Bontor, alla quale era stata oltretutto ricondotta, psicologicamente, la memoria della propria genitrice; impossibile sarebbe stato per Anmel o per la Mietitrice raggiungere un’effettiva possibilità di integrazione, di fusione, tale da assicurare loro la conquista di quel fato che amavano considerare ineluttabile.
Diversamente da Carsa, purtroppo, nel cuore tradito della sovrana di Rogautt, che ella stessa si era tanto impegnata ad avvelenare, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno, sino a renderlo più nero del cielo di una notte di novilunio senza stesse, non avrebbe più potuto essere riconosciuto, qual albergante, il benché minimo sentimento di affetto, o, tantomeno, d’amore, che pur, in un lontano passato, in quell’infanzia perduta e ormai dimenticata, l’aveva  legata alla propria amica, alla propria complice, alla propria confidente, alla propria gemella. E, nel riconoscere tutto ciò, in aggiunta a uno spirito e un corpo in tutto e per tutto identico a quello di colei che le aveva liberate, e le avrebbe, nuovamente, potute condannare, per Anmel e per la Mietitrice alcuna alternativa avrebbe potuto essere considerata migliore al di fuori di quella allora loro offerta da Nissa Bontor.
Un’alternativa che, nel corso di quell’ultimo anno, doveva sciaguratamente aver trovato, anche da parte della stessa dominatrice dei pirati dei mari del sud, una solida ragione d’interesse. Tale, quantomeno, da permettere di riservare all’attenzione degli occhi color ghiaccio della mercenaria, dopo poco più di un ciclo di stagioni, l’immagine di una donna completamente diversa tanto dalla sorella di un tempo, quanto da quella sull’orlo della follia incontrata l’ultima volta, nell’offrirsi ormai completamente consapevole di quanto stesse lì accadendo e di quanto, ancora, avrebbe dovuto desiderare accadesse, per il predominio, sull’intero mondo conosciuto, di sé, della regina Anmel Mal Toise e dell’Oscura Mietitrice.

« Qual una conquistatrice hai sperato di poterti imporre su di noi… e qual prigioniera, ora, stai venendo condotta al nostro cospetto. » esordì la sovrana di Rogautt, facendo proprio un tono incredibilmente calmo e straordinariamente controllato, desolatamente gelido e persino indifferentemente altero, quasi tutto quello non avesse a riconoscersi qual una questione di suo interesse, di sua competenza, quanto e piuttosto un affare nel quale si era ritrovata a essere coinvolta quasi per semplice fatalità, per mera casualità, senza che, da parte propria, avesse a riconoscersi il benché minimo interesse a tal riguardo « Come ti senti, sorella cara? Come ti senti, sapendo che la tua vita finirà prima del crepuscolo, immolata qual agnello sacrificale nel nostro nome, nel mentre in cui, con il tuo sangue, sarà benedetto il nostro impero… l’impero che, dopo la tua morte, nessun altro potrà mai ambire a minacciare, e, nell’ombra del quale, persino il sole stesso resterà oscurato per gli anni, i lustri, i decenni e i secoli a venire? » questionò, non lasciando trasparire maggiore coinvolgimento emotivo di quanto già non ne avesse promosso qual proprio ma, ciò non di meno, imponendo alle proprie parole, al proprio intervento, una forza del tutto incomparabile rispetto a quella che aveva condiviso con lei un attimo prima, un’energia che,  un solo momento antecedente a quello, avrebbe potuto dirsi del tutto inimmaginabile, e che, ciò non di meno, in quello stesso frangente le avrebbe potuto persino mozzare il fiato, se solo non fosse stata psicologicamente preparata a qualunque reazione da parte della stessa « Parla, sorella cara… parlaci e raccontaci quanto disperata abbia a considerarsi la tua condizione in questo momento. Perché nella tua sconfitta, null’altro che il nostro trionfo ha da essere riconosciuto, ha da essere considerato. Ora. E per sempre. »

Parole dure, parole letali come pietre, quelle allora scagliate da parte della propria gemella, che non poterono evitare di risuonare stranamente sbagliate all’attenzione della donna guerriero, soprattutto nel confronto con l’improprio utilizzo della prima persona plurale in luogo alla prima persona singolare, e non nella volontà di includere, in tale asserzione anche qualcun altro fra i presenti, proprio figlio Leas, o, forse, uno o più dei pirati, di ogni etnia, di ogni nazionalità, ancora lì presenti, a rendere brulicante di vita quel luogo, quell’amplia sala che, altrimenti, si sarebbe ritrovata intrisa di uno spiacevole sentore di morte, non dissimile a quello di una tomba. Perché quell’improprio plurale ella lo stava riservando unicamente alla propria stessa persona… una persona che, purtroppo, ormai non avrebbe più potuto essere in alcun modo riconosciuta qual singolare e che, anche da parte della stessa Nissa, non stava venendo speso nessun pur effimero tentativo volto a sostenere una simile argomentazione, un tale inganno, qual, necessariamente, sarebbe allora risultato.
A rivolgerle parola, allora e infatti, erano quindi tutte loro. Erano quindi sia la sorella gemella un tempo tanto amata e che, ora, tanto l’odiava; sia la sovrana di un’epoca ormai dimenticata, il cui regno si era forse imposto sull’intera Qahr, ed era forse durato per lunghi secoli, se non, peggio, millenni, così come nuovamente prospettato; sia l’empia entità superiore celata dietro entrambe, quell’archetipo di morte e di distruzione, di annichilimento e, indubbiamente, di disperazione, che mai come in quel momento, avrebbe potuto essere riconosciuto prossimo al proprio trionfo.


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