11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 4 luglio 2013

1991


E sì incisivo fu il tono che ella adoperò per rendere proprie tali parole, per scandire quell’avviso; che non soltanto non uno fra i suoi compagni e non una fra le sue compagne, fra quei dieci, riuscì realmente a ipotizzare una qualsivoglia ribellione nel loro confronto; ma anche, e ancor più, alcuno dei pirati lì a bordo saliti ebbe, per un istante, il coraggio di muoversi, di disubbidire a una voce e a un carisma sì simile, se non, addirittura, identico, a quello della loro sovrana, a quello della donna che tutti loro avevano imparato a rispettare, ad ascoltare, e alla quale avevano giurato la propria obbedienza, pena, in caso contrario, la propria disfatta, la propria rovina, la propria morte.
Fu questione di un fuggevole attimo, di un flebile istante scolpito nel tempo, ma, ciò non di meno, fu sufficiente a dimostrare, in maniera chiara e incontrovertibile, la misura nella quale ella, oggettivamente, avrebbe dovuto essere riconosciuta prigioniera o, ancor meno, qual proprio malgrado posta in trappola. Perché ove anche apparentemente sua sarebbe stata identificata la resa, ove anche indubbiamente sua sarebbe stata considerata l’impotenza innanzi alla sorte a cui, per tramite di Leas, la sua gemella avrebbe avuto piacere condannarla; ciò non di meno sua e soltanto sua avrebbe dovuto essere parimenti giudicata anche la forza, l’energia e il potere di mutare tutto quello in proprio favore, a propria riscossa. Un potere reso tale non tanto da una qualche empia stregoneria, da una qualche oscena negromanzia, quanto e piuttosto dalla sua sola, semplice e pur straordinaria determinazione volta a difendere, innanzi a tutto e a tutti, la propria libertà: una libertà che, pertanto, né suo nipote, né quei pirati, né alcun altro lì attorno, sarebbe mai stato in grado di sottrarle, di negarle, a discapito di ogni apparenza, in contrasto a ogni evidenza.
Il primo che, tuttavia, fu allora in grado di spezzare quell’incanto, quella malia conseguente al mero confronto con uno spirito sì forte, sì potente, da non poter essere in alcun modo dominato, si dimostrò essere colui che a lei avrebbe dovuto essere riconosciuto più vicino, più prossimo, non soltanto fisicamente, ma, ancor più, in termini di sangue, un sangue che, malgrado ogni possibile desiderio in senso contrario, scorreva sicuramente, almeno per metà, tanto in lei quanto in lui, legandoli con un vincolo di parentela, in quel contesto specifico, indubbiamente ancor maggiore di quanto mai avrebbe potuto sperare di essere quello fra qualunque zia e nipote, e necessariamente prossimo a quello che accomunava, e che sempre avrebbe accomunato, madri e figli.
Fu, quindi, proprio lo stesso Leas che, per primo, si rese consapevole di quanto lì appena occorso e, in conseguenza, tentò di opporsi a tutto ciò, evidentemente deciso a non permettere a quel giuoco di proseguire impunito ancora a lungo. E fu, ancora, probabilmente, per tale ragione che egli reagì a tutto quello in maniera persino più severa di quanto non sarebbe stato auspicabile per lui rispondere, soprattutto nel confronto con il carisma da lei appena dimostrato, nel distaccare il filo della lama dal collo di lei soltanto nella volontà di roteare l’intera spada e spingerla a impattare, con il proprio piatto, dietro la schiena della sua stessa proprietaria, all’altezza delle reni sulle quali, in ciò, risultò spiacevolmente simile a una violenta bastonata, tale da toglierle, addirittura, il fiato, oltre che a costringerla a ricadere, ancora una volta, al suolo, non più in ginocchio ma, addirittura, a carponi.

« Ti consiglio di non sfidare eccessivamente la sorte, nel fingerti chi non sei… né mai sarai. » intimò il giovane, sferzante con la propria voce così come lo era appena stato con le proprie azioni, non risparmiandola sotto alcun profilo per la colpa di cui si era in tal modo appena macchiata « Modera i toni, se desideri sopravvivere abbastanza per incontrare il tuo destino. In caso contrario, nulla, di quanto in mio potere, potrà preservarti dalle ire di coloro che, ora, ci circondano. »

La Figlia di Marr’Mahew, la Campionessa di Kriarya, che ai primi, incredibili, leggendari, quasi quarant’anni della propria esistenza era sopravvissuta non perché trattenutasi lontana da ogni possibilità di pericolo, di danno, e che, in effetti, non si era mai risparmiata sin troppe occasioni per imprecare a denti stretti il nome della propria dea, qual unico, umano sfogo al dolore provato, non avrebbe mai potuto provare particolare ragione di meraviglia nel confronto con il dolore per lei derivante da simile attacco, da tale colpo pur sferratole in maniera del tutto inattesa e imprevista, e che, per tale ragione, l’aveva colta decisamente impreparata. Tuttavia, avendola colpita non il filo, ma il piatto della lama, quello stesso attacco che avrebbe potuto spezzarla, letteralmente, in due, si ridusse nei toni di una bastonata, certamente violenta in misura sufficiente a ringhiare le sin troppo abusate sillabe del nome della signora dei mari da lei da sempre venerata e, ciò non di meno, ben distante da poter essere equiparato ad aggressioni già disapprovate in passato, nel confronto con le quali aveva già avuto trascorse occasioni di sofferenza e pur, comunque, di sopravvivenza.
Così, accanto a un sibilo, un gemito, un brontolio praticamente inintelligibile, nel quale difficile, se non impossibile, sarebbe stato riconoscere una stentata protesta, o forse preghiera, nei confronti di Thyres; ella si sforzò di riacquistare rapido controllo su di sé, sulla propria mente e sul proprio corpo, non solo a ovviare a qualunque possibilità di nuove aggressioni da parte del nipote, quanto e piuttosto a minimizzare il rischio che, in propria psicologica assenza, la situazione a lei circostante potesse degenerare, in un qualche pur proibito moto di rivolta da parte dei propri alleati, dei propri amici, fratelli e sorelle, che probabilmente stavano soffrendo persino più di quanto non avrebbe potuto vantare ella stessa nel vederla così ridotta, così violentemente aggredita quasi senza una concreta motivazione a giustificare l’atto.

« … Thyres… » ripeté, una seconda volta, con voce appena più chiara, maggiormente distinguibile rispetto a quanto non fosse stata un attimo prima, cercando di comprovare, in tal maniera, quanto quell’atto non l’avesse piegata, e, forse, non l’avesse neppur realmente offesa, non in misura tale, per lo meno, da giustificare una qualche ritorsione da parte del gruppo « Se pensi che sia mio interesse fingermi mia sorella… mi spiace smentirti, nipote caro. » negò, con sempre più chiarezza a caratterizzare il suo intervento, di istante in istante, nel mentre in cui le forze le ritornavano « Perché a oggi, l’unica che ha mai avuto ragione di volersi fingere chi non era, è stata proprio tua madre: prendendo il mio posto nel letto di tuo padre; prendendo la vita di una mia cara amica; e prendendo, non meno crudelmente, anche il braccio sinistro di Howe… con il solo, sgradevolmente intuibile rammarico di non essere riuscita, da parte sua, a ottenere molto di più. »

Quegli esempi, nel merito dei quali ella aveva indubbia certezza dell’intervento della propria gemella a sua sostituzione, avrebbero dovuto essere considerati, in verità, soltanto una minima parte rispetto a tutti quelli che, spiacevolmente, avrebbe sicuramente dovuto attribuire a carico della propria gemella, e dei suoi innumerevoli tentativi, nel corso del tempo, di rovinarle la vita ovunque ella si fosse diretta, ovunque ella avesse cercato di ricominciare da capo.
Fra i tanti, probabilmente, avrebbe dovuto anche essere riconosciuto quello alla base di una spiacevole, e altrimenti incomprensibile, reazione da parte delle guardie poste agli ingressi di Kerrya, la capitale di tutte le capitali del regno di Kofreya, dimora della famiglia reale lì imperante, lì dominante, le quali, nel semplice ravvisare la sua presenza, da lontano, si erano preparati a compiere tutto il necessario per eliminarla senza alcun, pur fugace, giro di parole. Un comportamento non semplicemente strano, ma più propriamente incomprensibile, nel merito del quale ella, all’epoca, non aveva voluto fornire troppe spiegazioni ai propri compagni di ventura, il suo scudiero Seem e i due fratelli mercenari Howe e Be’Wahr, nella fattispecie; e che, tuttavia, avrebbe potuto essere forse banalmente, e pur completamente esplicitato nel riflettere su quanto, qualche anno dopo, sempre la stessa Nissa non si era risparmiata occasione di farle attendere in quel di Kriarya, la sua città, la sua capitale, spingendo l’intera popolazione locale a odiarla, legittimamente, nel considerarla colpevole di aver scagliato una negromantica maledizione sopra tutti loro, una maledizione che, per una lunghissima stagione, aveva veduto le strade della città del peccato invase, ogni notte, da qualunque genere di oscena creatura proveniente dal regno dei morti, fra zombie, scheletri, spettri e, persino, dei mostri giganteschi che ella aveva soprannominato legioni.


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