11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 21 maggio 2013

1947


A ribadire la propria scelta, la propria decisione in favore a quella sfida, per quanto potenzialmente letale, per quanto non così improbabile avrebbe avuto a doversi riconoscere un suo sacrificio nel corso della medesima, Be’Sihl allorché indietreggiare ulteriormente, ancora sottrarsi a quell’avversario e alla minaccia da lui in tal modo suggerita, si spinse maggiormente avanti, stringendo al contempo la dita della propria destra attorno all’impugnatura della sua spada così come i propri stessi denti gli uni contro gli altri, evidenza dello sforzo psicologico, ancor prima che fisico, compiuto in un gesto in tanta aperta violazione a ogni istinto di conservazione, a quel medesimo spirito di sopravvivenza che pur, poco prima, gli aveva garantito la possibilità di non soccombere prematuramente alla violenza del mostro. E in simile progresso, in tale ricerca di conflitto, egli non si limitò semplicemente a ridurre la distanza fra sé e la propria controparte, ma, soprattutto, levò il proprio stesso braccio destro a cercare il più istintivo, ma non per questo necessariamente inefficace, fendente, diretto nell’esatto centro del capo dell’ippocampo.
Tuttavia, sebbene quel gesto quasi naturale, spontaneo, avrebbe pur potuto vedergli riservata opportunità di successo in confronto con qualunque altro genere di antagonista, soprattutto laddove, come in quel particolare frangente, questi non si fosse a lui sottratto, non avesse ricercato, innanzi alla sua offensiva, un’occasione di fuga, una qualche speranza di evasione; nella disfida allora ricercata, e ottenuta, nel confronto con quella tanto temibile creatura, tale assunto, simile favorevole possibilità, non avrebbe purtroppo potuto riservarsi alcuna opportunità di concretizzazione, nel ritrovarsi a essere completamente vanificata innanzi all’impenetrabilità di quella corazza naturale, di quella superficie a scaglie più resistente di qualunque armatura, e in offesa alla quale né quella semplice lama, né armi di ben migliore fattura, avrebbero potuto riservarsi qualsivoglia prerogativa di successo. Così, tanto ardimento, pur indubbio coraggio, si ritrovò posto a impietoso confronto con l’inutilità del proprio operato nel momento in cui il pur apprezzabile acciaio di quella spada si arrestò, senza danno alcuno imporre, contro il grosso capo del cavallo di mare, addirittura riversando delle sgradevoli vibrazioni qual reazione a tanto violento impegno a discapito dello stesso braccio mossosi per colpire, e che, in ciò, ebbe quasi ragione di risultar colpito, quasi avesse sfogato tutta quell’energia contro un muro di impenetrabile roccia.

« Dannazione! » imprecò, faticando non poco al fine di non perdere la presa su quell’unica arma in suo possesso, di non smarrire la sola risorsa offensiva che avrebbe potuto essergli concessa nel mentre in cui, proprio malgrado, si ritrovò costretto a indietreggiare, a cercare ancora una volta un certo margine di sicurezza fra sé e il mostro, a sottrarsi alle terrificanti zanne che, nuovamente, invocarono le sue carni, ricercarono le sue membra, desiderose di nutrirsi, bramose di godere di quel ritenuto sicuramente delizioso pasto, per quanto lo stesso locandiere ineluttabilmente recalcitrante sarebbe stato ad accettare di essere ridotto a tale misura, di doversi considerare, banalmente, una preda inerme offerta a qualunque capriccio del proprio carnefice « Credevo che Midda avesse la testa dura… ma tu, amico mio, ce l’hai molto più persino rispetto a lei! »

Un’ironia non gratuita, quella rivolta in tal modo all’indirizzo della propria amata che pur lì non era presente e, in tal senso, non avrebbe né avrebbe potuto apprezzarla o né, più difficilmente, disapprovarla, per scandire la quale il locandiere avrebbe potuto vantare ogni ragione, ogni motivazione, soprattutto dopo essersi scontrato per oltre quindici anni con la ritrosia della donna all’idea di poter star vivendo un qualsivoglia genere di sentimenti affettuosi, se non, addirittura e più esplicitamente, carichi d’amore, in un rapporto che, fra loro, aveva quasi immediatamente trasceso non solo ogni diffidenza, e, forse, persino ogni ipotesi di semplice amicizia, per dimostrarsi altresì animata da una complicità, da una confidenza, che soltanto due amanti avrebbero potuto dimostrare, benché, per oltre tre lustri, quell’eventualità fosse apparsa quanto di più improbabile possibile fra loro.
Che la Figlia di Marr’Mahew, in ciò, avesse dimostrato una certa, ostinata, ritrosia a smuoversi dalle proprie idee, dalle proprie decisioni, semplicemente indubbio avrebbe dovuto essere considerato, soprattutto dal suo particolare e personale punto di vista, benché, sotto tale profilo, non avrebbe dovuto essere riconosciuta, da parte del suo attuale, e forse ultimo, compagno di vita e di letto, alcuna concreta ragione di critica, e di critica denigratoria, qual pur avrebbe potuto essere superficialmente considerato qual presente alla base di quella stessa beffarda osservazione. Al contrario, Be’Sihl non avrebbe potuto evitare di ammettere un’indubbia e personalissima approvazione a tal riguardo, a simile proposito, nell’amare, semplicemente e indubbiamente, quello stesso spirito forte, energico e tenace, fiero delle proprie opinioni, delle proprie idee, e disposto a combattere sino all’ultimo per difenderle e per sostenerle, anche ove, in ciò, avrebbe potuto contrariare l’opinione di eventuali terzi, fossero questi a lei del tutto estranei così come cari amici di antica data, per compiacere le aspettative dei quali non avrebbe mai rinunciato a essere colei che ella era, e a dar voce a quanto, dal profondo del suo cuore, e in assoluta armonia con la sua mente e con il suo animo, ella si sarebbe potuta riconoscere desiderosa di professare.
Amata, qual era, o meno, qual non avrebbe mai potuto essere, non, per lo meno, da parte dello stesso sha’rtiagho, simile caratteristica nella propria compagna, comunque incontrovertibile avrebbe dovuto essere ammessa l’esistenza di una tanto, irremovibile, perseveranza, in misura allora quantomeno utile a non rendere quell’intervento verso l’ippocampo completamente incomprensibile, assolutamente privo di ragione, in un paragone che sarebbe altrimenti risultato essere del tutto immotivato.

« In che modo aveva raccontato essere possibile ucciderti…?! » domandò, rivolgendosi esplicitamente verso il mostro che forse sperava di poter intrattenere con simile favella, e che pur, in tal senso, non gli aveva, né gli avrebbe, offerto la benché minima disponibilità, non avendo formalmente il benché minimo interesse a rispondere alle domande, provocatorie o meno, che il mondo, o lo stesso locandiere nel dettaglio di quel momento, avrebbe ritenuto opportuno destinargli « Di certo non colpendoti al cuore, anche perché mi sento fiducioso di escludere l’eventualità secondo la quale, qualunque dio ti abbia generato, si sia interessato a offrirti migliore protezione al tuo bel musone, ancor prima che al resto del tuo corpo, soprattutto in quelle parti necessariamente più deboli… più suscettibili a possibili attacchi nemici. » argomentò, ricorrendo al raziocinio per sopperire a un’apparente difficoltà a rimembrare l’esperienza vissuta dalla propria amata e amante, ed escludendo in tal senso l’idea di sprecare nuove energie in aggressioni allora quasi certamente prive di speranza alcuna di successo « Accidenti a me… » sbottò a conclusione, trasparentemente contrariato non tanto da un’assenza di replica a un interrogativo retorico, quanto e forse a quel sicuramente spiacevole vuoto di memoria, che mai, come allora, avrebbe potuto esigere da lui un alto prezzo a compensazione per simile mancanza.

E se, in quelle reazioni, tristemente reale non poté che risultare quella dimenticanza da parte sua; difficilmente criticabile, di improbabile condanna, avrebbe dovuto essere, egualmente e umanamente, considerata, essendo invero stata, l’avventura dell’amata in contrasto a un mostro qual quello in sua opposizione allora schierato, soltanto una fra le molte, fra le troppe battaglie di una vita intera dedicata a quel genere di confronti, a quella particolarmente epica categoria di imprese, nel tentare di ricordare ognuna nel pur minimo dettaglio persino un cantore, persino un bardo, avrebbe dimostrato i propri limiti, le proprie debolezze, nel rischiare di trovarsi costretto a improvvisare e a inventare, ancor prima che di deludere i propri spettatori, i propri ascoltatori.
Un dimenticanza, però, che seppur umanamente non criticabile, non condannabile, all’atto pratico proprio di quel tenzone, di quella pugna, avrebbe altresì potuto rappresentare per lui la differenza fra una nuova alba, allo scemare della tempesta, e le tenebre eterne, nella notte della morte che, presto o tardi, inesorabilmente, avrebbero preteso da lui un obbligatoriamente giusto tributo.


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