11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 18 maggio 2013

1944


« Andiamo, amor mio… » incitò anche Masva, traendo un ultimo, profondo, respiro quasi come innanzi alla prospettiva di un tuffo diretto alle profondità abissali, al fondo del mare a lei tanto caro e nel cercare di raggiungere il quale, ciò nonostante, non avrebbe di certo avuto alcuna grazia volta ad assicurarle la possibilità di sopravvivere, se solo avesse permesso all’acqua di entrarle nei polmoni, di conquistarne il corpo, le membra e, con esse, il proprio stesso futuro « Scommetto che riuscirò ad abbatterne più di quanti non sarai in grado di fare tu! » esplicitò la propria sfida, accogliendo lo spirito proposto dalla loro compagna e amica e rendendolo, in tal modo, anche proprio, qual nuova occasione di giuoco con il proprio amico, fratello e amante, quasi non fosse stata loro rivolta alcuna minaccia mortale, non fosse stata loro, in tal modo, promessa ancora una volta la prematura conclusione delle loro vite e del loro amore, con una crudeltà fuori dal comune, estranea a qualunque consueta prova il destino fosse solito richiedere a qualunque altra comune coppia, alla maggior parte di coloro che, in ognuno dei tre continenti noti, fosse solito vivere e amare.

Ancor quasi volendo offrire imitazione alla Figlia di Marr’Mahew, e pur nulla di nuovo compiendo rispetto a quanto non fosse da sempre solita compiere, in alcuna originale maniera agendo rispetto a quanto non fosse solita agire, ella si slanciò in avanti, mantenendo una solida presa sulla propria spada di Hyn con entrambe le mani, e, con non di meno ardimento, non di meno coraggio rispetto a quanto l’altra non avesse prima dimostrato, invocando un’occasione di pugna con gli ippocampi, con quella mandria tanto numerosa da offrire loro soltanto l’imbarazzo della scelta nel merito del fronte sul quale potersi allora impegnare, in ciò ovviando persino al rischio, se tale avesse voluto essere considerato, di risultare d’intralcio l’uno per l’altra rendendo propri sufficienti margini di movimento anche per le più sfrenate e originali acrobazie.
Non che, nel confronto con quella battaglia, potesse esservi in alcuno fra loro particolare desiderio volto all’apparenza ancor prima che alla sostanza, allo spettacolo in luogo alla concretezza di un operato perfettamente misurato in ogni proprio più minimale movimento, in ogni proprio più semplice gesto, non diversamente da quanto avrebbe potuto vantarsi di essere l’opera del migliore fra tutti i cerusici, nel più delicato fra tutti gli interventi avrebbero potuto essergli richiesti. E se spettacolo avrebbe potuto definirsi, quello da loro offerto, maestoso e sconvolgente, terrificante e affascinante, non meno rispetto alla tempesta infuriante nei cieli sopra le loro teste, ciò avrebbe potuto dirsi tale non tanto per un’esplicita ricerca, da parte loro, di un tale risultato, di una pur indubbia teatralità, quanto e piuttosto per il fascino e la maestosità che, ineluttabilmente, avrebbero sempre e comunque caratterizzato quei gesti di sfida in contrasto allo stesso fato e a tutte le prove che esso avrebbe reputato opportuno rivolgere a loro stesso discapito, allora con quella carica di bestie quasi invincibili e bramose di sangue e di carne umana, in altre occasioni con qualunque altro genere di antagonista, seguendo l’ispirazione del momento, in quella che, se solo non fosse stata una tragica ricerca di morte a loro discapito, in loro opposizione, avrebbe dovuto essere considerata l’instancabile inseguimento di un’ispirazione volta all’originalità, a offrire loro sempre qualcosa di nuovo, qualcosa di inedito, qualcosa di prima non soltanto imprevisto, ma addirittura mai neppur immaginato qual possibile, qual concreto, qual reale.
Reali, comunque e tuttavia, erano allora gli ippocampi che la sorte, o chi per essa, aveva scelto di scagliare in loro offesa. E reale, parimenti, fu l’intraprendenza della donna marinaio che, con energica convinzione, con irrefrenabile passionalità, sembrò quasi volersi offrire in loro sacrificio, nel gettare le proprie splendide carni in direzione di quelle fauci spalancate e per esse invocanti con la stessa spontaneità con la quale le labbra di un infante avrebbero cercato il seno materno, e, in terrificante contrasto, con la stessa ferocia con la quale uno squalo si sarebbe abbattuto su una vittima sanguinante. Non sacrificio, però, avrebbe dovuto essere inteso quello da lei ricercato, da lei desiderato con quei propri gesti, quanto, e piuttosto, volontà di rivalsa… rivalsa dell’uomo in contrasto alla propria stessa mortalità, e a tutti coloro che, della medesima, avrebbero voluto approfittare, negandola con prepotenza e con violenza, così come, allora, avrebbero tanto palesemente voluto compiere quelle bestie. Una rivalsa che, nella fattispecie, ebbe allora occasione di concretizzarsi in una rapida sequela di attacchi, di aggressioni rivolte dalla preda a discapito dei propri predatori, nel duplice scopo di mantenerli a giusta distanza da sé e dalle proprie conturbanti forme, così come di cercare di violare, reciprocamente, gli orrendi confini di quelle bocche, di quelle voragini supplicanti la sua morte, con la propria forte lama, e, in sua grazia, conquistando quel medesimo risultato che, quasi a scopo dimostrativo, a titolo d’esempio, era stato pocanzi reso proprio dalla mercenaria dagli occhi color ghiaccio sotto ai loro ancora esitanti sguardi.

« Questo è lo spirito giusto, Masva! » si complimentò la stessa Campionessa di Kriarya, non animata, in ciò, da un’impropria volontà rivolta ad approvare quel gesto, a sostenere quell’operato, qual pur non avrebbe avuto alcun diritto a compiere, a lei in nulla ritenendosi superiore, ma soltanto a offrirle tutto il proprio sostegno, morale ancor prima che fisico, qual pur era sicura che l’altra non avrebbe mai scordato le sarebbe sempre stato riconosciuto… non solo in quella notte, o giorno che ormai fosse, ma in ogni altra singola notte e in ogni altro singolo giorno i loro cammini le avessero condotte lungo medesimi sentieri, lungo eguali strade, allora così come in passato e come, ancora, avrebbe potuto avvenire in futuro « Forza, Av’Fahr… non vorrai restare in disparte mentre due fanciulle indifese si occupano di tutto il lavoro sporco?! » richiamò nuovamente l’intervento dell’uomo, con trasparente ironia non tanto a suo discapito, quanto, e diversamente, a promozione propria e della propria compagna d’arme in quel particolare momento, in quello specifico istante, laddove entrambe non avrebbero potuto mai essere, certamente, scambiate per due fanciulle indifese, neppure innanzi al giudizio più misogino e maschilista.

Impossibile, infatti, al di là di qualunque indottrinamento patriarcale, di qualunque ritrosia all’idea della possibilità per le donne di poter essere alla pari, se non addirittura meglio, dell’altra metà dell’umanità, sarebbe infatti e allor stato per chiunque sollevare una qualsivoglia obiezione a valore guerriero lì promosso tanto dall’una quanto dall’altra. Non, quantomeno, nel momento in cui erano le loro spade così intente a tenere testa alla carica degli ippocampi, ricercando senza tregua, senza sosta alcuna, possibilità di strappare loro la vita dal corpo, benché, nell’agilità e nell’incredibile rapidità di movimenti di creature tanto grandi, sempre e spiacevolmente finendo soltanto per scivolare lungo le loro inviolabili corazze, per frammischiare alla pioggia incessante, cascate di scintille atte ad accompagnare, e a enfatizzare, ogni singolo insuccesso da loro purtroppo riportato, malgrado ogni impegno in senso contrario.
E, in tal modo, richiamato non una sola volta, non due, ma addirittura tre volte; invitato a prendere parte a quella pugna dalla quale, invero, egli non avrebbe mai voluto sottrarsi, benché sino a quel momento non avesse ancora avanzato, non avesse ancora preso posto accanto a Midda e Masva in quel fronte comune di contrasto alla letale avanzata di quei dannati cavalli di mare; il figlio dei regni desertici centrali, cresciuto entro i piacevoli confini protettivi dell’amore di una sorella maggiore, per lui sola famiglia, che tutto gli aveva concesso, che tutto gli aveva garantito, lottando giorno dopo giorno per tal scopo, prima qual cacciatrice, e successivamente qual avventuriera e marinaio, strinse con ulteriore vigore fra le proprie mani il più prezioso retaggio che Ja’Nihr gli avesse lasciato e, levando allora un violento grido, un vigoroso ruggito atto a sovrastare persino i tuoni roboanti sopra di loro, si gettò a sua volta in avanti, per unirsi alla battaglia. Un’avanzata energica, una carica apparentemente irrefrenabile, quella condotta da un corpo che avrebbe potuto vantare una mole superiore persino a quella delle due donne poste insieme, che, prevedibilmente, non parve essere in grado di turbare alcuno fra i mostri lì intenti a progredire in verso contrario, e che pur, oggettivamente, avrebbe dovuto, così come egli si premurò di evidenziare nel lasciar abilmente roteare la lunga lancia attorno a sé e sopra di sé, prima di conficcarla, con una precisione stupefacente e una forza devastante nel cervello del primo ippocampo che ebbe occasione di raggiungere, uccidendolo senza che a questi potesse essere neppure concessa la possibilità di elaborare quanto fosse appena accaduto.


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