11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 11 aprile 2013

1907


« Non è stato facile. Non è stato per nulla facile, devo ammetterlo. » sorrise, stringendosi appena fra le spalle « Ma alla fine sono riuscita a ottenere da lui un bacio… e, dopo di ciò, non sono più stata capace di togliermelo di torno. » esplicitò, canzonando dolcemente l’amato, pur lì presente in suo ascolto, in attesa di sentire cosa ella avrebbe detto o non detto.

A esprimersi in tali parole, a non così eccessiva distanza rispetto a dove Masva e Av’Fahr stavano scoprendo il piacere celato dietro a tutto ciò, nella forse sin troppo tardiva comunione delle loro labbra; Midda Bontor, riunita attorno a un tavolo con il padre e il proprio uomo, futuro sposo, si stava divertendo a offrire al primo una migliore spiegazione nel merito di chi fosse il secondo e, soprattutto, delle ragioni per le quali ella aveva scelto di unirsi a lui innanzi agli dei tutti.
Una storia, quella che aveva accumulato la coppia, non priva di momenti di difficoltà, di ragioni di confronto verbale e, addirittura, fisico fra loro, e, pur, non per questo, contraddistinta da una qualche incomprensione, da una qualche difficoltà comunicativa, tale da permettere all’uno o all’altra di non essere concretamente informati nel merito delle scelte di vita compiute e, soprattutto, delle ragioni per le quali tali scelte di vita erano allora state compiute, dalla controparte nella propria più semplice quotidianità. Così, ove anche sovente differenti avrebbero dovuto essere considerate le reciproche prospettive su determinate questioni, nulla di tutto ciò avrebbe potuto porre in dubbio la solidità della loro unione, in un legame non tanto basato su una qualche omogeneità di pensiero, quanto e piuttosto sulla condivisione dello stesso, con assoluto e totale rispetto l’uno dell’altra, in misura tale da permettere loro di osservare la medesima questione da due punti di vista totalmente differenti senza, in ciò, presumere un solo, comune giudizio e, ancor più, la correttezza del proprio, stesso giudizio.
Ovviamente, in un momento qual quello loro lì offerto, di quieta gioia nella riunificazione della donna guerriero con la propria famiglia, con il proprio genitore e, persino, la casa in cui era nata e cresciuta; soltanto una versione estremamente riassuntiva di quegli ultimi quasi vent’anni insieme stava venendo presentato allo stesso, anziano Nivre, sovente, come anche in quell’ultimo intervento, trasformando quasi in giuoco un momento che, quando vissuto, non avrebbe potuto essere considerato animato da alcun giuoco, da alcuna volontà di scherzo ma, quasi e addirittura, da un velo di ansioso dramma nel quale soltanto il barlume di speranza, condotto seco da quello stesso bacio, avrebbe potuto impedire al tutto di degenerare addirittura in tragedia. Parole, pertanto, che avrebbero potuto essere considerate addirittura irrispettose dei loro stessi sentimenti e di quanto da loro stessi vissuto in passato, e che pur Be’Sihl non poté in alcun modo equivocare, non nell’amore che lo legava a quella donna straordinaria; non nella confidenza che aveva maturato, nel corso degli anni, con il suo carattere e il suo particolare stile sovente irriverente; non, ancora, nel dolce contatto che pur ella volle garantirsi con lui, appoggiando la propria sola mano, la mancina, sul dorso della sua destra, a trasmettergli in un gesto tanto semplice, e pur intenso, tutto il proprio amore per lui.
Un amore, quello esistente fra loro e in tutto ciò pur straordinariamente evidente, che, persino all’attenzione dello stesso Nivre non poté mancare di risultare trasparente, costringendo un sorriso carico di dolcezza a comparire sul suo viso solcato da rughe…

« E’ bello. » commentò, con tono di voce carico di tenerezza, osservando quanto stava accadendo innanzi al suo sguardo e non trovando un termine migliore a descrivere tutto quello, non perché contraddistinto da un vocabolario particolarmente limitato, povero nella varietà del proprio lessico, quanto e piuttosto perché sostanzialmente incapace a elaborare quella realtà in un termine esaustivo, quasi un bambino posto innanzi a qualcosa di troppo amplio per essere completamente compreso e, in questo, costretto allora a minimizzarne involontariamente l’importanza nel definirlo, semplicemente, bello « E’ bello quanto esiste fra di voi, figliuoli. E, per quanto potrebbe apparire retorico, credetemi se vi dico che non avrei potuto sperare in nulla di meglio per mia figlia... »
« Papà… » esitò la mercenaria, sforzandosi per non arrossire a quelle parole, non equivocandole nel loro effettivo significato e, anzi, proprio in quanto pienamente comprendendole, ritrovandosi posta in imbarazzo dalle stesse.
« E’ vero, bambina mia. E’ vero. » la bloccò immediatamente l’anziano pescatore, per impedirle di contrattare quanto da lui affermato, conoscendola a sufficienza, malgrado l’intera vita trascorsa lontano da lei, separato da lei, per sapere che ella avrebbe tentato di impegnarsi in tal senso se solo non l’avesse anticipata « In questi anni non ho mai smesso di pregare Thyres per la tua felicità. E, pur pregandola, non avrei mai avuto pretendere che le mie invocazioni potessero essere realmente in grado di garantirti quanto, ora, leggo nei tuoi occhi, colgo nel tuo sguardo. E tutto questo è bello. »

E se per Nivre tutto quello avrebbe dovuto essere considerato bello, in assenza di un modo migliore per definirlo, dal punto di vista di Be’Sihl e, ancor più, della stessa Midda, tutto quello non avrebbe potuto essere considerato nulla di meno. Non soltanto nella consapevolezza del loro straordinario amore, di quel sentimento sincero e dirompente che tanto li aveva uniti, conducendoli sino a lì, a quel giorno, a quel momento; quanto e ancor più nell’evidenza offerta dall’essere proprio lì, in quel giorno, in quel momento, insieme a quell’anziano pescatore, a quel padre dato per morto e che, in gloria agli dei, morto non era, e a quel padre dato per perso e che, ancora in gloria agli dei tutti, perso non era né, obiettivamente, era mai stato in tutti quei lunghi anni di lontananza.
Una bellezza oggettiva, sorprendente e sconvolgente, quella intrinseca in tal contesto, nel confronto con la quale persino il pensiero di quanto proprio quei lunghi anni di lontananza non solo non fossero stati necessari ma, neppure, giustificati, avrebbe ineluttabilmente perduto valore, nulla desiderando sottrarre a tempo presente nel rimpianto del passato, di ciò che avrebbe potuto essere, che non era stato e che, ormai, non sarebbe più potuto divenire.

« Hai ragione, papà. » ammise, pertanto e alfine, ella, non potendo obiettare né, tantomeno, volendo obiettare, in quel momento probabilmente incapace a farlo anche innanzi a un’evidente torto, un palese errore, che pur sarebbe stata pronta a trascurare nel sol desiderio di godere di tutto quello senza che la benché minima ombra potesse calare su di loro, a rovinare quell’idillio.

Purtroppo però, come già altre volte in passato, come già troppe volte in passato, alla Figlia di Marr’Mahew, alla Campionessa di Kriarya, a quella donna guerriero così indomita che ogni regola, ogni legge, mortale o divina, aveva dato evidenza di voler infrangere per il semplice piacere di dimostrare la propria più assoluta autodeterminazione, gli stessi dei avrebbero presto offerto evidenza di non voler offrire prolungata occasione di pace, di serenità, di appagamento, qual pur, certamente, avrebbe allora dovuto esserle riconosciuta qual propria. E forse, addirittura, nel profondo del proprio cuore, nell’angolo più intimo del proprio animo, nel meandro più oscuro della propria mente, nonché, più esplicitamente, nelle proprie viscere, ella avrebbe dovuto essere già riconosciuta in quello stesso momento, in quello stesso frangente, qual già perfettamente consapevole della minaccia che, presto, sarebbe sopraggiunta a negarle tutto quello, proprio malgrado confidente con quelli che sembravano, per lei, essere degli inviolabili limiti imposti alla propria stessa felicità, qual prezzo da pagare, qual tributo preteso, per tutto il resto, per quanto pur, nella restante parte della propria esistenza, ella non avrebbe mai mancato di ottenere, con la forza e con la determinazione che, da sempre, la contraddistinguevano.
Ma se anche Midda Bontor già si sarebbe potuta considerare in allarme per quanto presto, troppo presto, sarebbe accaduto; sino a quando quello stesso pericolo non si fosse manifestato, ella avrebbe continuato a godere di quanto allora lì offertole, evitando, almeno in quell’occasione, di preoccuparsi per il futuro nella stessa misura in cui stava ignorando di rammaricarsi per il passato.


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