11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 20 febbraio 2013

1858


Per propria fortuna, Midda non si ritrovò realmente costretta ad abbattere ogni singola porta presentatale innanzi per portare a termine l’evacuazione del personale della locanda. Evidentemente, per quanto profondo avrebbe eventualmente potuto essere considerato il sonno ristoratore nel quale i garzoni dovevano aver cercato rifugio, soprattutto a seguito dell’ennesima serata contraddistinta da molto lavoro e da troppe poche occasioni di pausa come sempre in quel particolare genere di impiego; l’atavico, il primordiale sentimento di timore, se non di terrore, conseguente al pensiero del fuoco, e di una morte a esso ricollegabile, riuscì a superare ogni possibile indolenza, ogni pur giustificabile pigrizia, svegliando tutti quanti con maggiore veemenza di quanto ella stessa non avrebbe potuto attendersi di ottenere, vedendoli, in ciò, fuoriuscire rapidi e decisi dai propri alloggi, per riversarsi in maniera sufficientemente ordinata lungo la migliore via di fuga individuata attraverso le fiamme, inaugurata, solo pochi istanti prima, dalla coppia formata da Arasha e Seem.
Malgrado ciò, e animata in tal senso, più che dalla preoccupazione per una possibile vittima innocente, dal timore di poter deludere il proprio amato, nel confronto con l’incarico che egli le aveva riservato; ella non si volle permettere di considerarsi realmente soddisfatta di quanto compiuto sino a quando non si concesse occasione di controllare l’effettivo abbandono di quell’area della locanda stanza dopo stanza, assicurandosi, in tal maniera, che alcun ritardatario o, peggio, alcun assopito, potesse essere lì involontariamente dimenticato a bruciare. Così, solo quando fu assolutamente certa che non soltanto i dormitori fossero stati abbandonati, ma, con essi, anche le cucine e la dispensa, pur serenamente ritrovate vuote esattamente quali avrebbero dovuto essere a quella tarda ora; la Campionessa di Kriarya, decisamente accaldata malgrado la propria parziale nudità, e tutt’altro che desiderosa di permanere all’interno di quell’enorme brace a lasciarsi abbrustolire, accolse con soddisfazione l’idea di allontanarsi da lì, di porre il maggior spazio possibile fra sé e l’incendio, e di riabbracciare, così come non voleva concedersi occasione di dubitare, il proprio dolce locandiere, a dispetto di ogni prudenza, di ogni tentativo di mistificazione sino ad allora reso proprio nella volontà di proteggere la riservatezza della loro relazione.

« Spero che nessuno sia rimasto indietro… » commentò ad alta voce, anche laddove, in tal modo, ella si rivolse più a se stessa che a un qualche, effettivo, interlocutore, ove alcuna controparte le era rimasta prossima in quel frangente, a lasciarsi bruciare, suo pari, la gola e gli occhi dal fumo, non di meno di quanto le fiamme non avrebbero presto potuto compiere con le carni e le ossa « L’atmosfera, da queste parti, si è fatta troppo calda. E non come speravo sarebbe accaduto questa notte. » soggiunse, ironizzando amaramente e cercando di sfogare, in quel cupo umorismo, tutta la propria frustrazione nell’osservare la locanda, la propria locanda, così rinnovata e così magnifica, per come ella l’aveva voluta erigere nuovamente, essere consumata da quell’incendio maledetto.

Un incendio, forse e dopotutto, lì propostole dal fato qual una sorta di vendetta poetica, a compenso di quando ella stessa aveva avuto l’insana idea di appiccarne un altro, entro quelle stesse mura: più modesto, ma non per questo più gradevole o meno distruttivo, meno potenzialmente letale. Ma se, in tale trascorsa occasione, ella era stata carnefice per quelle mura entro le quali, pur, sempre sicuro rifugio le era stato offerto e garantito, insieme all’affetto sincero e assoluto di quell’uomo che troppo tempo aveva sprecato prima di iniziare a considerare il proprio uomo; ora, in quel drammatico e attuale momento, la mercenaria non avrebbe potuto che essere riconosciuta qual vittima, al pari della locanda che, insieme al locandiere, aveva voluto rendere propria.

« Maledizione… » gemette e concluse, storcendo le labbra verso il basso, nell’intraprendere, a propria volta, quel cammino verso la salvezza, sperando che qualunque sadico disegno del destino, o di chi per esso, avesse da considerarsi concluso in quel già sgradevole affondo.

Per propria sfortuna, ad attendere il suo ritorno a contatto con la fresca e frizzante aria della notte nella città del peccato, a negarle qualunque ormai vana speranza di tranquillità in quelle ore di oscurità ipoteticamente dedicate al riposo e alla dimenticanza di qualunque problema, di qualunque affanno, e a ridurre ogni pensiero nel merito della prematura distruzione della locanda a un’inezia priva di valore, priva di significato; furono allora due spiacevoli sorprese, due inattesi sviluppi, che dimostrarono sufficiente tatto, adeguata premura, per non offrirsi né concorrenti, né subitanei, ma che, non in grazia di ciò, avrebbero potuto essere da lei considerati prevedibili, o previsti, nella propria occorrenza, né, tantomeno, più facilmente, più serenamente, più quietamente gestibili nelle proprie conseguenze, in quanto, per mezzo di loro, le fu non soltanto spiacevolmente, ma addirittura tragicamente destinato.
La prima non apprezzata, non ricercata, e pur impostale, ragione di disorientamento, più razionale che emotivo, fu la scoperta, né complessa né impegnativa, del responsabile dell’incendio, così come egli stesso ebbe l’arroganza di annunciare senza palesare alcun pudore, alcun imbarazzo, o, in termini indubbiamente più salubri per il mantenimento della propria esistenza in vita, alcun timore, non appena ella sopraggiunse a portata della propria voce, fuoriuscendo dall’edificio in fiamme…

« Midda Bontor! » volle attrarre la sua attenzione una voce tutt’altro che estranea alla sua memoria, benché in essa presente non dissimile da un eco lontano, e ormai quasi dimenticato, ricordo di un incontro privo di significato o valore occorso troppi anni prima « Eccoti qui, Figlia di Marr’Mahew! Eccoti qui, Campionessa di Kriarya! Eccoti, signora di tutte le cagne, madre di tutte le meretrici! » la salutò, in parte ricorrendo a due titoli già più che noti, e in parte proponendo due epiteti tanto innovativi, quanto per nulla cortesi « Nel tuo indugiare a offrirti a me, per un lungo istante, ho temuto che le fiamme dell’incendio da me appiccato avrebbero potuto privarmi del piacere di ucciderti con le mie stesse mani… se mi perdoni l’eufemismo. »

Anticipando, tuttavia e allora, ogni possibilità di replica da parte della stessa mercenaria lì pretesa qual sola interlocutrice, altre due furono le voci maschili che vollero riservarsi occasione di intervento in risposta a quella dell’incappucciato che, in tal senso, si era appena espresso.
Due voci che, a differenza di quella, non dimostrarono alcuna particolare ragione di ironia, alcun possibile sarcasmo nel proprio incedere, non riuscendo a riservare qual proprio uno stato d’animo adeguato, dopo essere stati costretti a rinunciare, a propria volta, a una lunga notte di diletto e di riposo, in conseguenza all’insana idea di trasformare una questione privata, qual pur avrebbe potuto essere gestita quella fra egli e la propria desiderata antagonista, in un caso pubblico, qual, in tal modo, era inevitabilmente divenuto…

« Chi accidenti è quell’idiota? » esclamò aspramente Howe, alle spalle della propria collega e compagna di ventura, tossendo a causa del fumo inalato « Con tutti i modi che aveva per sfidarti, doveva proprio sceglierne uno così stupido?! » domandò poi, forse rivolto alla stessa Midda, o forse a nessuno in particolare, nel formulare tale interrogativo con fare retorico « Giuro che dopo averlo ucciso, aspetterò che resusciti come zombie, solo per poterlo uccidere un’altra volta! »
« Una volta tanto sono costretto a concordare… se non nei modi, quantomeno nelle intenzioni. » ammise il biondo Be’Wahr, approvando la posizione assunta da parte del proprio fratello shar’tiagho nei confronti di quell’avversario, non dichiaratosi, esplicitamente, qual un loro avversario, e pur proclamatosi qual tale, e tale per tutti gli avventori della locanda, nel momento stesso in cui aveva cercato di farli arrostire tutti insieme là dentro « E dire che mi piaceva come Midda e Be’Sihl avevano risistemato la locanda… » soggiunse poi, offrendo evidenza di condividere, seppur in misura necessariamente diversa, il rammarico della propria amica, quasi sorella, e sorella maggiore, per la perdita di quell’edificio.


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