11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 9 febbraio 2013

1847


Incapace a comprendere se degno di lode o di infamia, benché probabilmente soltanto infamia gli sarebbe stata tributata dalla maggior parte degli uomini e, probabilmente, persino da qualche donna, il buon locandiere resistette non solo all’impulso di saltarle immediatamente addosso, ma anche, e ancor più, a quello di chiudere repentinamente la locanda, così come, in verità, una parte del suo cuore, una fetta considerevole del suo animo, nonché ovviamente il suo intero corpo, stavano gridando per la brama di voler compiere, di voler conquistare in maniera selvaggia e quasi animale.
Così come già in passato, comunque, la sua mente riuscì a imporsi sui suoi istinti, dimostrandosi in ciò, sicuramente, degno compagno della propria amata, laddove nel conseguimento dei propri innumerevoli successi, dei propri straordinari risultati, la mercenaria non avrebbe mai potuto essere riconosciuta qual vittima delle proprie emozioni, qual succube della propria ira, quanto, e piuttosto, sempre combattente fredda e determinata, gelida nel proprio cuore in misura ancor maggiore di quanto i suoi occhi color ghiaccio non avrebbero potuto essere capaci di testimoniare. E proprio il pensiero della possibile conquista di quelle gemme preziose, e di quel cuore ricolmo di passione sol desiderosa di incontrare qualcuno degno di sé, e delle proprie attenzioni, avrebbero dovuto essere considerate, da sempre, le forti motivazioni in ubbidienza alle quali Be’Sihl era riuscito a spronare la propria perseveranza, a giustificare la propria attesa, in tutto ciò ritrovando la consapevolezza di quanto, al momento giusto, la ricompensa sarebbe stata priva d’eguali, ben più vasta di quanto mai avrebbe potuto anche solo sperare o, più semplicemente, immaginare.
Una ricompensa, quella di cui egli non aveva mai avuto ragione di dubitare in tutti quegli anni, che anche in quella sera, anche in quella notte, non manco di sopraggiungere a ricompensa per i suoi sforzi, qual riconoscimento per il rispetto ancora una volta tributatole, nell’ubbidienza, fedele e assoluta, a ogni suo desiderio, a ogni suo comando, qual, il più difficile, avrebbe dovuto senza ombra di dubbio dover essere considerato quello volto a dissimulare l’esistenza di qualunque rapporto fra loro, così come ella aveva richiesto per il suo bene, per la sua salute e, con essa, per la salute del loro rapporto, che, dopo tanti anni di paziente attesa, sarebbe stato non soltanto spiacevole, ma addirittura blasfemo, perdere in maniera tanto sciocca e superficiale, per una carezza in pubblico, per un bacio innanzi a sguardi troppo indiscreti. E benché, ormai, nella propria nuova posizione di Campionessa di Kriarya, Midda Bontor sembrasse potersi considerare completamente immune a ogni rischio di minaccia a proprio discapito, né l’una, né, di conseguenza l’altro, desideravano rischiare più del dovuto. Non appena rimasti soli, comunque, alcun freno inibitore, alcuna prudenza avrebbe potuto più essere loro, ragione per la quale quasi non fecero neppure in tempo a entrare nelle loro stanze, nelle stanze formalmente appartenenti soltanto al locandiere, e nelle quali, dalla ricostruzione della locanda, anch’ella aveva sempre vissuto, che si ritrovarono premuti l’uno contro il corpo dell’altra, reciprocamente aggrappati con ardore, quasi con prepotenza, come se da tale contatto, da simile unione, dovesse dipendere la comune sopravvivenza, naufraghi nel mare delle proprie emozioni.

« Fuggiamo… » propose, o forse pregò, Be’Sihl, nel rivolgersi ansimante alla compagna, parole scandite sulle carnose labbra amate, nelle morbide labbra adorate, dalle quali non desiderava separarsi neppure per permettere a quell’incitamento di essere scandito, di essere definito « Fuggiamo insieme, questa notte. Partiamo per il nord, per Shar’Tiagh. O per qualunque altra destinazione. Fuggiamo, amor mio… fuggiamo e dimentichiamo tutta questa follia. Questa follia che finirà per separarci… o peggio, per ucciderti, negandoti per sempre al mio abbraccio! » esplicitò meglio le proprie intenzioni, la propria idea, forse folle, e pur sincera, onesta nei propri propositi, in quell’intento di evasione lontano dal mondo, lontano da ogni possibile minaccia, in una vita anche priva d’ogni agio, se necessario, e pur tale da permettere loro di vivere quell’amore ancor troppo sofferto, sempre incompleto e, in ciò, terribilmente precario.
« Sciocco… » lo rimproverò la Figlia di Marr’Mahew, con dolcezza nel proprio tono, con vibrante sentimento in quelle semplici sillabe, che, pronunciate in tal modo, con tanto amore, non avrebbero potuto che apparire simili a una straordinaria poesia, a una meravigliosa ode, un inno di gioia nel quale crogiolarsi e per godere del quale essere pronti ad affrontare qualunque minaccia, qualsiasi nemico, fosse anche un dio della morte incarnato « Non esiste luogo al mondo, né fuori dal mondo, entro il quale potrei rifugiarmi per sottrarmi alle mie responsabilità. La fenice è stata chiara… e lo sai. Ne abbiamo già parlato. »

Ne avevano già parlato. Ne avevano parlato per ore. E lo shar’tiagho non avrebbe potuto dimenticarlo, non avrebbe potuto trascurarlo, qual alcun loro incontro, qual alcun loro confronto sarebbe mai potuto essere da lui ignorato, da lui minimizzato nel proprio valore, nel proprio pregio, non tanto derivante dai contenuti affrontati, ma dal semplice e meraviglioso fatto che essi erano stati affrontati con lei, insieme a lei, in sua compagnia.
Ciò nondimeno, egli avrebbe avuto piacere, almeno per una volta, a obliare quanto noto, a ignorare tutto quello, in favore di una diversa soluzione, in favore a un’altra via, nella quale poter prevedere più facilmente quanto, in quel momento, appariva a dir poco disperato: l’eventualità di un futuro insieme a lei. Un futuro insieme a lei che, nell’affrontare quelle che ella stessa aveva appena voluto ricordare qual proprie responsabilità, forse non sarebbe più stato concesso loro di esplorare insieme, di vivere insieme, così qual solo egli avrebbe voluto, avrebbe desiderato, pregando qualunque dio e qualunque dea affinché ciò potesse essere loco concesso.

« Non fraintendermi… ma sarei pronto a condannare l’intero Creato per salvarti, amor mio. » ammise, non senza un certo imbarazzo, non senza un certo sentimento di colpa, nel confronto con quell’ipotesi, con quella possibilità, dal momento in cui se solo gli fosse effettivamente stata concessa, difficilmente avrebbe saputo compiere quella che avrebbe dovuto essere considerata la cosa più giusta, per quanto in netto sfavore alla propria stessa felicità, a quella serenità così agognata, così vicina, a portata di mano quanto ella era in quello stesso momento, eppur sempre così tremendamente lontana, apparentemente distante quanto il sole, la luna e tutte le stelle del firmamento « Io… ti amo… » soggiunse, quasi a giustificare, in quelle semplici e pur immense parole quanto appena dichiarato, il proprio egoismo così quietamente vantato, qual poche volte, o forse mai, egli aveva anteposto a tutto il resto.

E Midda Bontor, ben comprendendo quello stato d’animo, ben comprendendo la disperazione implicita in quelle stesse parole, in quella confessione, e, soprattutto, ben comprendendo l’infinito amore rivoltole da parte di quell’uomo, che, se solo avesse potuto, l’avrebbe eletta non solamente a propria regina, ma a propria dea, e unica dea, tanto sarebbe stato disposto a compiere per lei; non poté che sentirsi straordinariamente onorata, quasi a sua volta imbarazzata, non perché tutto ciò non fosse da lei stessa ricambiato, quanto e piuttosto perché consapevole di come, al di là di tutto quello, al di là delle loro più intime brame, dei loro più sinceri desideri, ella non avrebbe potuto permettersi di non proseguire nel cammino iniziato troppi anni prima, non porre fine a quella storia incominciata con lo sciagurato recupero della corona perduta della regina Anmel, impresa che, fra tutte quelle che ella aveva compiuto, aveva segnato negativamente il suo presente e il suo avvenire, nel porla a confronto con le conseguenze delle proprie azioni, con i risultati delle proprie scelte, per così come, sempre con eccessiva leggerezza, compiute.
Forse, al termine di quella storia, ella non sarebbe più stata la stessa. Forse, al termine di quella storia, ella avrebbe rinunciato a quella folle vita di continue sfide, di immani imprese, per trasformare la serenità di una sera nel piacere di una vita intera, negli anni che, per lo meno, le sarebbero ancora stati concessi di vivere, e di vivere accanto a Be’Sihl. Forse, al termine di quella storia, ella sarebbe stata pronta a cambiare… e a intraprendere un cammino completamente diverso. Forse.

« Ti amo. » replicò la mercenaria, stringendosi a lui con non di meno disperazione di quanta a lei rivolta da parte del proprio interlocutore e amante, a dimostrargli quanto, da parte propria, quelle ancor apparentemente semplici, e pur sempre immense parole, non avessero da considerarsi semplice eco, banale ripetizione di quelle appena udite « E ti prometto che, quando tutto questo sarà finito, io… »

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