11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 29 dicembre 2010

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I
nevitabilmente animati da ben diverse emozioni nel proprio ruolo di predatori, e non di prede al pari del disgraziato giovane da loro catturato, il gruppo di dodici elementi lì radunatosi, otto figure maschili e quattro femminili, fra i quali conteggiare ben cinque figure di bizzarri albini al pari del caporione, ebbe nel mentre di quel sussurro ragione di rigirarsi nella direzione della donna così manifestatasi, non tanto in conseguenza dell’invocazione, simile a preghiera, espressa dalla loro stessa vittima, quanto, piuttosto, di un sarcastico apostrofare a loro rivolto da parte della medesima straniera allora sopraggiunta.
Rimasta priva di possibilità di essere udita da parte dello stesso B'Reluc per colpa dell’incredibile angoscia presente nel suo cuore, tale da renderlo non solo quasi cieco al mondo a sé circostante, ma anche pressoché afono e del tutto sordo, colei tanto appassionatamente da lui identificata con il nome di Heer non si era infatti riservata una discreta occasione di avvicinamento al gruppo, prendendo voce verso di loro quand’ancora a trecento piedi di distanza, rapidamente percorsi a cavallo e, in ciò, esprimendosi, nella lingua comune a Kofreya, Y’Shalf, Gorthia e Tranith, e pur diffusa anche in quella regione di Urashia, per ovvie ragioni di confine, con parole cariche di malevola ironia per chi da lei non conosciuti e pur immediatamente riconosciuti qual predoni, o simili, in conseguenza dell’arroganza delle proprie stesse azioni in contrasto a un’inerme malcapitato.

« Questi non sono affari che competono la tua persona, straniera… » sentenziò l’albino posto a capo del drappello, replicando con eguale vocabolario e inflessione tipica kofreyota, non offrendo, nonostante il ricorso a tale lingua e, soprattutto, a tale accento, alla nuova giunta sufficiente importanza, e con essa, attenzione per concedersi possibilità di riconoscerla, nonostante i numerosi e inequivocabili tratti caratteristici da lei necessariamente mostrati « Ti consiglio di riprendere il tuo cammino in compagnia del tuo servo, prima di immischiarti in guai al di là di ogni tua possibilità di gestione e di controllo. »

Colui in quelle stesse parole erroneamente indicato nel ruolo di servo, e precedentemente del tutto innocentemente ignorato da parte di B’Reluc, appariva, nella fattispecie, quale una seconda figura estranea a quel contesto e lì pervenuta accanto alla donna guerriero, a sua volta a dorso di una quieta cavalcatura. Da tale equino sodale, in quel momento, egli non era ancora disceso, nel dimostrare in tal modo una chiara preferenza in favore del semplice e laconico ruolo di spettatore, osservando silenziosamente la scena con inconcepibile distacco e risultando, in ciò, del tutto privo di ogni possibilità di preoccupazione se non, addirittura, stimolato da trasparentemente divertimento nel merito della scena così come a lui concessa, nonostante l’evidente volontà di scontro, e scontro armato, che la sua stessa meravigliosa compagna stava in quel frangente ricercando con incosciente impegno. E proprio quale compagno, complice, amante e amato, in verità, avrebbe egli dovuto essere considerato per lei, così come ella avrebbe dovuto essere considerata per lui, in quell’unione, in quella comunione, che da un intero anno, ormai, li stava ritrovando finalmente quali un sol essere dopo troppi anni di forzata amicizia, imposta fratellanza purtroppo privata di qualsiasi altra possibilità di complicazione emotiva, di intimità quale quella finalmente conquistata sul finire dell’estate dell’anno precedente.
Il suo nome era Be’Sihl Ahvn-Qa e quando aveva incontrato per la prima volta la mercenaria, in un’epoca addirittura di poco precedente alla nascita dello stesso B’Reluc, egli era locandiere in Kriarya, una delle più pericolose capitali del regno di Kofreya. Nella sua locanda, Midda Bontor aveva trovato sin da subito occasione di riparo, possibilità di ospitalità, e con il tempo quello che, almeno inizialmente, si era delineato quale semplice rapporto d’affari, era cresciuto in maniera incontrollata e incontrollabile, portando alfine la coppia a quella forse prevedibile, e pur inimmaginata, conclusione.
Un anno prima, in conseguenza alla quasi distruzione della sua stessa proprietà per opera di colei successivamente divenuta sua sensuale amante e all’inevitabile necessità di una ricostruzione della medesima, da lei medesima finanziata per propria esplicita volontà, il locandiere aveva quindi abbandonato quell’urbe anche nota come città del peccato per impegnarsi, nella dilettevole compagnia della donna riscoperta in tale nuovo, e ormai persino insperato, ruolo, in un lungo, lunghissimo viaggio attraverso l’intero continente di Qahr, tale, addirittura, da vedere la coppia raggiungere l’estremità opposta di quell’enorme estensione terrestre per giungere a Shar’Tiagh, regno e nazione di origine dell’uomo. Dopo una serie di burrascose avventure vissute in un territorio per lei completamente estraneo e per lui inevitabilmente divenuto praticamente tale dopo tanti anni di lontananza, dopo un’interva vita trascorsa in una realtà completamente diversa da quella caratteristica della sua gente, dei suoi avi, i due avevano alfine deciso di fare ritorno alla propria vita quotidiana, salutando i familiari dell’uomo e rimettendosi in cammino verso sud. La strada percorsa in quel viaggio di ritorno, parallelamente a quanto già compiuto in quello d’andata, aveva così veduto la coppia attraversare molteplici terre, numerosi regni, ricorrendo talvolta all’uso dei cavalli, talvolta a carovane di carri mercantili, alle quali si erano temporaneamente aggregati, talvolta a imbarcazioni fluviali, utili per riuscire a percorrere maggiore distanza in minor tempo, e talvolta persino alle proprie semplici estremità inferiori, così come, del resto, qualsiasi pellegrino di quel mondo e di quell’epoca si sarebbe impegnato a compiere in un percorso tanto lungo.
Quell’ultima tratta, in quell’ultima parte del loro impegnativo percorso prima del desiderato arrivo entro i confini kofreyoti, nel dettaglio, era stata dominata dal ricorso a due tranquille bestie, energici berberi nativi di quelle lande e, per tale ragione, assolutamente confidenti con le vaste praterie predominanti in larga parte del territorio di Urashia: praterie al limitare delle quali, così in prossimità ai confini sud-ovest del regno e ai monti Rou’Farth lì già visibili nella loro possente presenza, Midda e Be’Sihl avevano allora colto la presenza di quel variegato gruppo di furfanti alle prese con un ragazzino tanto esile da sembrare già cadavere, ritrovandosi in ciò stimolati a intervenire.

« … servo?! » domandò ella, voltandosi appena in direzione del proprio amato, con fare interrogativo, quasi a domandarsi se davvero stessero riferendosi a lui con simile appellativo « Tutt'al più accetterei che fosse definito qual mio cuoco, ma per tua informazione, mio latteo interlocutore, egli ha da considerasi qual mio attuale compagno. E nell’offesa da te riservatagli, mi hai appena concesso occasione di essere più che immischiata in questo affare. »

Volendo essere onesta con se stessa, la mercenaria non avrebbe mai potuto definire un qualche oggettivo e concreto interesse nei riguardi del giovane tale da giustificare il proprio intervento in contrasto al gruppo lì dispiegatosi in opposizione al medesimo, né un qualche, ipotetico ed esagerato orgoglio sì marcato in lei al punto da spingerla a cercare conflitto per un insulto neppur realmente definito qual tale, là dove, nonostante chiara arroganza, nella frase dell’albino non era ancora stata espressa alcuna reale volontà in sua offesa. La sola, concreta e sincera ragione in conseguenza alla quale ella era lì accorsa, e, ancora, si stava dimostrando tanto bramosa di ottenere battaglia, avrebbe dovuto essere quindi ricercata altrove, analizzando l’intera questione sotto un profilo assolutamente diverso e, nel dettaglio, alla luce del suo particolare carattere, della sua forse innata esigenza di stimolo alla lotta, al combattimento, lo stesso con il quale anche Be’Sihl aveva ben imparato a essere confidente e che la spingeva da sempre a scatenare risse in qualsiasi contesto, incluso quello proprio della sua locanda, nella sola, semplice volontà di ottenere da tutto ciò occasione di diletto.
Tanto l’aggressione ai danni di quell’ignoto ragazzo, quanto l’ipotetica offesa a discapito del locandiere, pertanto, avrebbero dovuto essere semplicemente interpretati quali banali pretesti per raggiungere il solo e ultimo fine dello scontro con coloro lì concessile dal fato a soddisfare l’incontrollabile esigenza di una qualche sfida fisica e a concederle, in ciò, speranza di assaporare nuovamente il meraviglioso gusto dell’adrenalina, per lei inebriante più di qualsiasi nettare divino.

« Sei forse cieca? O solo incredibilmente stolida?! » replicò l’altro, sguainando ora la lama della propria spada, una lunga sciabola dal profilo leggermente ricurvo, per riservare al proprio messaggio una migliore possibilità di comprensione « Perché solo in uno di questi due casi potrei comprendere la ragione per te di ricercare un confronto privo di qualsiasi proporzione qual potrebbe essere il nostro… »

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