11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 19 luglio 2010

920


C
on la morte nel cuore, necessario sentimento di fronte alla rinuncia alla propria stessa autodeterminazione, alla propria libertà di pensiero e azione, Midda Bontor non poté evitare di accogliere il fardello rappresentato da quei due scettri. E, a partire da quel semplice gesto, dalla stretta metallica che venne imposta attorno a tali simboli di potere dalla mano metallica della donna guerriero, la profezia, se tale sarebbe potuta essere definita, del faraone Amothis VI, loro presunto acerrimo nemico diventato, all'ultimo il più prezioso e importante alleato, si avverò in ogni sua parte, in ogni proprio dettaglio.

Per tre lunghe stagioni i tre compagni attraversarono, da nord a sud, da est a ovest, l'intero continente di Qahr, esuli dal proprio tempo, dal proprio mondo e, ormai, anche da quella Shar'Tiagh nella quale, in parte coscienti, in parte inconsapevoli, avevano segnato la Storia, contribuendo al lento, ma inesorabile, processo di ascesa al potere per la regina Anmel. In nove mesi di cammino, di continuo peregrinare, la Figlia di Marr'Mahew e i suoi due compagni, divenuti, ormai, per lei pari a dei familiari, arrivarono nel territorio che in un lontano futuro sarebbe stato conosciuto qual regno di Kofreya e che, in quel remoto passato, si proponeva essere realmente la manifestazione della barbarie spesso attribuita da Be'Tehel e da Ma'Sheer alla propria compagna.
Non in Kofreya, tuttavia, essi arrestarono il proprio cammino, dal momento in cui, dietro lo sprone della donna, i due uomini accettarono di affrontare anche il mare, con le sue insidie, con i suoi pericoli, per abbandonare completamente quel continente dal destino segnato e fare rotta verso qualche isola di quello che sarebbe successivamente stato il regno di Tranith, la terra natia della stessa mercenaria dagli occhi color ghiaccio e dai capelli corvini. Tal viaggio, che pur, in diverse condizioni, in diverse situazioni, avrebbe anche potuto entusiasmare la donna, concedendole una possibilità di sguardo sull'origine del mondo per lei conosciuto, su valli ora disabitate e che, in futuro, avrebbero ospitato le grandi capitali kofreyote, nonché su una splendida baia, prospera, ricca di vita animale e vegetale, che nel suo tempo sarebbe divenuta una palude priva di ogni possibilità di vita e di morte, infestata da schiere di non morti e conosciuta con il nome di Grykoo, fu altresì vissuto da Midda quale un cammino verso il patibolo: privata dell'illusione di quella libertà per la quale da sempre aveva lottato in ogni singolo giorno della propria esistenza, ella non avrebbe mai potuto riuscire ad accettare il nuovo ruolo riservatole dagli dei, quello di banale pedina nei loro giuochi.
Con indifferenza, quindi, tre anni, e qualche mese, più tardi, ella accolse l'annuncio di una violenta ribellione nel regno di Shar'Tiagh, ribellione in seguito alla quale il vecchio sistema dei faraoni aveva trovato la propria naturale conclusione lasciando il posto a una nuova epoca, un'epoca che, a detta delle cronache, sarebbe stata caratterizzata dall'impronta magnanima della nuova regina, Anmel, già soprannominata, per tale ragione, la Portatrice di Luce. Gli eventi di quel regno, non solo fisicamente, ma ormai psicologicamente, lontano da lei, non avrebbero potuto più interessarla, non avrebbero più potuto coinvolgerla, né tantomeno entusiasmarla o preoccuparla: nella negazione impostale dalla triste scoperta della propria impossibilità a scegliere il proprio fato, la donna guerriero decise di isolarsi dal mondo intero, trascorrendo le proprie giornate nella quiete dell'isoletta raggiunta con i propri due compagni.
Così, nel mentre in cui Ma'Sheer non mancò di generare oltre una mezza dozzina di figliuoli, legando in tal modo il proprio sangue del deserto a quello dei mari di una fanciulla autoctona, Midda e Be'Tehel affrontarono gli anni seguenti l'uno accanto all'altra, fedelmente legati da quel particolare vincolo che, ormai, nessuno avrebbe avuto dubbi a giudicare quale amore. Alcun figlio poté, né avrebbe potuto, allietare la loro unione, ma di ciò, sinceramente, lo shar'tiagho non se ne fece dramma alcuno, realmente legato alla propria compagna, a colei che avrebbe seguito sino nel peggiore dei mondi possibili e con la quale, altresì, si era ritrovato a vivere nel migliore fra essi: mai, in oltre vent'anni di quotidianità condivisa, fra giornate impegnate nella pesca o nel lavoro nei campi, e notti ancora animate da sempre complice passione, l'uomo si sentì seppur fuggevolmente insoddisfatto dalla propria esistenza, da quella vita di pace così, alfine, ottenuta, riservandosi qual unica nota amara la consapevolezza della malinconia altresì propria nel profondo del cuore della donna amata. Sebbene, infatti, mai ella ne offrì evidente riprova, nella rinuncia alla propria libertà la mercenaria subì una mutilazione peggiore di quella che già le aveva negato il proprio braccio destro, lasciandola gravemente segnata nel proprio intimo al pari di uno stupro.
Forse fu proprio in conseguenza di quel profondo dolore mai sfogato e trasformatosi in quieta rassegnazione, in triste resa, che, giunta ormai a superare le cinque decadi di vita, colei un tempo conosciuta con il nome di Figlia di Marr'Mahew, in passato capace di tenere testa, da sola, a interi eserciti, iniziò a dimostrarsi sempre più debole, ammalandosi di un male purtroppo incurabile perché derivante dal suo cuore, dalla sua mente e dal suo animo, ancor prima che dal suo corpo. A nulla, in tutto ciò, poté l'amore di Be'Tehel, la premura con cui egli non si volle mai separare da lei anche a seguito di tutte le occasioni in cui ella, insultandolo, gli ordinò di lasciarla andare, di cercarsi una donna più giovane, ancora in tempo a cercare in tal modo di dar vita a una propria famiglia, di cercare un proprio futuro separato da lei.
E alfine, a ventidue anni esatti dal loro arrivo in quella linea temporale, in quel lontano passato ormai divenuto loro solo presente, Midda Bontor si ritrovò, ombra di se stessa, tristemente distesa sul proprio letto di morte, circondata, in tal momento, da quell'unica famiglia rimastagli sempre fedele, quegli amici, tali per semplice scherzo di un destino beffardo, che a lei erano riusciti a dimostrarsi più vicini di chiunque altro: Be'Tehel e Ma'Sheer.

« Non vi preoccupate… non vi farò attendere ancora a lungo… » sussurrò, parlando a fatica e osservandoli uno alla volta, con occhi ormai privi di quell'energia che li aveva caratterizzati in un tempo lontano, divenuti ancor più grigi dei suoi stessi capelli, da oltre un decennio abbandonati al proprio colore naturale in assenza di qualsivoglia necessità di mantenerli ancora camuffati con la loro abituale tinta nera « Fra poco sarete liberi di bruciare i miei resti… e affidare le mie ceneri all'abbraccio di Thyres, nella speranza che ella mi voglia accogliere nonostante tutto ciò che è stato. »
« Non parlare in tal modo… » provò a rimproverarla Be'Tehel, disapprovando l'idea, purtroppo innegabile, dell'ultimo addio fra loro « Io… » tentò di parlare, non riuscendo, tuttavia, a esprimere verbo e, in ciò, ritrovando il proprio volto rigato da calde lacrime, nel mentre in cui le sue mani accarezzavano quelle di lei, ancora strette l'una attorno all'impugnatura della propria spada e l'altra ai due scettri del faraone, simboli di tutto ciò che ella era stata e che, per quanto moritura, non desiderava dimenticare o rinnegare.
« Midda… » esitò Ma'Sheer, per la prima volta nella propria vita non riuscendo a trovare una sola frase degna di essere pronunciata.
« Se fate così, mi costringerete ad accelerare i tempi della mia morte. » cercò di scherzare ella, inarcando appena gli estremi delle proprie labbra con fare sprezzante, per un istante, in ciò, tornando a mostrarsi simile alla donna da entrambi conosciuta un tempo, quella incapace di accettare un limite qual tale, fosse anche quello di un pericolo letale « Dovreste essere felici di quanto sta accadendo, dopotutto… » soggiunse, poi, tossendo e respirando sempre con maggiore sforzo « La mia fine dimostrerà come quel lurido figlio d'un cane del faraone aveva torto: il mio fato non è scritto, la mia vita non è stata già decisa da altri per me. »
In lacrime i due uomini, ex-mercenari, non poterono evitare di accogliere quell'ultimo beffardo tentativo della loro compagna di dimostrare la propria autodeterminazione, di imporre la propria volontà sugli dei tutti.
« Ascoltatemi… ora… » tornò seria, nel proprio tono, nel percepire, qual solo è concesso ai moribondi, l'imminenza della conclusione di ogni giuoco « Io… mi dispiace… mi dispiace di avervi coinvolti in tutto questo e di non essere stata in grado di… »
« … Thyres… » imprecò, comprendendo di non potersi impegnare in un discorso tanto lungo « Ma'Sheer, sei un uomo straordinario e mi hai reso un grande onore chiamando la tua primogenita come me… » sussurrò, con voce sempre più lieve, verso il figlio del deserto « Be'Tehel, la vita che ho trascorso con te è stata la migliore che avrei mai potuto desiderare… e, ora, ho solo un rammarico… » aggiunse, poi, verso il proprio lo shar'tiagho, concentrando su di lui tutte le proprie ultime energie.
« … quale? » esitò egli, parlando a fatica, nel trovarsi soffocato dai sentimenti, dal dolore.
« … avrei voluto essere in grado… di amarti meglio… » gemette la donna, nel proprio ultimo alito di vita « Ti amo, B… » tentò di scandire, per la prima volta nella propria intera vita, animata dal sentimento più puro e sincero che mai avrebbe potuto riservarsi, salvo spegnersi, quale la fiamma una candela ormai consumata, sul nome del proprio ultimo compagno e amante.

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