11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

www.middaschronicles.com
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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 3 luglio 2010

904


B
e'Rooth era fiero del proprio lavoro.
In linea di principio, qualsiasi guardia di Amoth-Rahes, attuale capitale del regno di Shar’Tiagh, città santa del faraone, dio in terra per il popolo eletto, avrebbe indubbiamente dovuto essere giudicata fiero del proprio lavoro, della posizione di prestigio e di potere che da esso sarebbe da ciò derivata, ma Be'Rooth lo era in modo particolare, realmente convinto della sacralità del proprio incarico, del proprio ruolo di guardiano di un luogo sì importante, qual solo sarebbe potuto esserlo in quanto custode della dimora del grande Amothis VI.
A soli ventuno anni, dopo averne trascorsi oltre nove di addestramento, in un percorso da lui iniziato quand'ancora bambino, e altri due di gavetta, a Be'Rooth era finalmente stato riconosciuto un ruolo di decisa importanza, qual solo, nel confronto con il suo sguardo, con il suo metro di giudizio, avrebbe dovuto essere considerato quello di responsabile della torre di sud-sud-est. Invero, tale onore, simile privilegio, da lui avvertito quale un dono esclusivo, una benedizione divina concessagli dalla grazia del loro faraone, avrebbe potuto essere meno appassionatamente censito qual condiviso, unicamente per la "sua" torre, con altri undici guardie, in turni giornalieri di massimo due ore, e, ancora, con oltre un centinaio di suoi pari impiegati nelle altre undici torri preposte al controllo costante e ossessivo sul perimetro cittadino. Nonostante tutto, egli non avrebbe potuto comunque evitare di ritenersi quale un eletto, un appartenente a una schiera di pochi valorosi, nelle cui mani avrebbe potuto essere considerato il destino stesso del loro Paese, là dove dalla sicurezza di quel confine sarebbe dipesa la sicurezza della città, dalla sicurezza della città sarebbe dipesa la sicurezza del faraone, e dalla sicurezza del faraone sarebbe alfine dipesa l'effettiva sicurezza dell'intera nazione shar'tiagha. Un ragionamento, il suo, che, per quanto probabilmente eccessivamente enfatizzato dai suoi personali sentimenti, dalla sua smisurata fiducia nel loro stile di vita e, ancor più, nel loro faraone, avrebbe dovuto essere oggettivamente ritenuto corretto nelle proprie ragioni e nelle proprie conclusioni, ponendo, effettivamente, la custodia delle mura della capitale qual uno dei compiti più importanti di tutto il regno… ciò, per lo meno, nell'ipotesi che il regno potesse essere effettivamente sotto minaccia.
In effetti, al di là di qualsiasi timore, nella sola eccezione di qualche dissidio con le popolazioni confinanti, Shar'Tiagh si era da sempre dimostrata sì preparata alla guerra, militarmente guarnita, da non riservarsi alcuna concreta possibilità di minaccia provenire dall'esterno del regno, al punto tale da rendere il compito di Be'Rooth e dei propri pari quale una semplice monotona e ripetitiva occupazione come altre, una professione fra tante, priva di qualsivoglia concreta emozione esterna a quella che un sognatore idealista come lui avrebbe potuto comunque insistere ad associare a tale compito. Per tanta dedizione, per tanto impegno, per tanto fermo, inviolabile convincimento, incalcolabile era il numero di occasioni di scherno, di cui egli era stato passivo protagonista nel confronto con i propri pari, con i propri compagni similmente a lui eletti a quel ruolo di responsabilità, in quell'impegno che solo allo sguardo incantato dei suoi occhi sarebbe potuto essere giudicato qual tanto appassionante.
In una fatidica notte, tuttavia, l'intero mondo attorno a Be'Rooth, responsabile della torre di sud-sud-est nelle due ore antecedenti al sorgere del nuovo sole, sembrò improvvisamente mutare, concedendogli, alfine, la possibilità di ritrovare inattesa e straordinaria conferma a ogni propria idea, a ogni proprio principio, in quella che, per quanto ammantata di un cupo velo di tragedia, non poté che essere accolta, da lui, quale la disgrazia più lieta della propria intera esistenza, nel riconoscergli, almeno nel confronto con il suo cuore, con il suo animo, e in ciò, anche con il dio della propria inamovibile fede, quell'onore, quella gloria, che aveva sempre considerata qual propria, in contrasto a ogni parere opposto da parte di chiunque altro.

« Ma… cosa?! »

Un'espressione, quella da lui pronunciata in tal fatidico momento, che, indubbiamente, mancò di quella necessaria epica di cui, forse, in un giorno lontano, qualche bardo non avrebbe ovviato a imporgli e che, altresì, in quel momento si presentò qual la sola, naturale, esclamazione che mai avrebbe potuto riservarsi di definire. Tale coppia di parole, nella semplice banalità della propria povera dialettica, accompagnò l’inatteso confronto del giovane con l'immagine più incredibile che mai avrebbe potuto avere possibilità di concepire, anche nei propri incubi peggiori: tre figure ammantate di nero impegnate ad arrampicarsi, praticamente a mani nude, lungo l'inaccessibile parete esterna della torre da lui custodita, da lui protetta, evidentemente animati, in tal senso, nel mentre di simile azione, da intenti tutt'altro che amichevoli nel confronto con la capitale, i suoi abitanti e, soprattutto, il suo dio.
Simile assurdo quadro, assolutamente esterno a ogni razionale capacità di accettazione della realtà, nel proporli più simili a creature sovrannaturali, a osceni ragni in parvenza umana ancor prima che persone suo pari, pretese da lui un tributo di stupore, di sbalordimento, tale da impedirgli, almeno inizialmente, ogni possibilità di reazione innanzi a quella presenza, non riuscendo, in effetti, neppure a comprendere in quale misura esso potesse essere effettivamente reale e in quale, altresì, dovesse essere giudicata qual semplice miraggio, inganno derivante dalla stanchezza e dalle confuse ombre della notte. Invero, se egli, nel ligio compimento del proprio dovere, al pari di tutte le altre guardie responsabili della custodia di quel confine, non si fosse sporto da una stretta finestra, conducendo seco una grossa torcia, per ispezionare, periodicamente, anche quel fronte a lui affidato, mai avrebbe potuto aver occasione di notare quelle tre sagome, praticamente invisibili nel confronto con le tenebre a loro circostanti: ciò nonostante, Be'Rooth, responsabile della torre di sud-sud-est nelle due ore antecedenti al sorgere del nuovo sole, non si sarebbe mai potuto considerato fedele servitore del suo dio se solo avesse ovviato a tale verifica per semplice pigrizia, per banale, e pur umana, indolenza.

« All'armi! All'armi! » esplose la sua voce, impegnando in quel richiamo tutte le sue energie, decidendo, non appena si fu ripreso dallo stupore iniziale, di offrire fede ai propri sensi, ai propri occhi, i quali non tre possibili ombre dovevano aver colto nell'abisso dell'oscurità di una notte priva di luna, quanto, piuttosto, tre indubbi nemici dell'intero popolo eletto, umani o inumani che essi fossero.

Un grido, il suo, che, per quanto carico di tensione, di preoccupazione, di timori, non poté che essere da lui vissuto con estremo orgoglio, assoluta fierezza, in quel momento che, a ragion veduta, comprese essere il coronamento di tutto ciò per cui, sin da bambino, si era impegnato, di tutto ciò per cui aveva lottato con tutte le proprie energie, bramoso di compiacere, nel proprio ruolo, nel compito da lui così conquistato, il proprio sovrano e la propria stessa famiglia, che in lui avevano sempre offerto fede, avevano sempre saldamente creduto, appoggiandolo in ogni singolo giorno del lungo cammino che lo aveva condotto sino a quel particolare momento, a quell'apice fulgido della sua intera esistenza. Purtroppo per Be'Rooth, in quel incredibile momento, giunto qual si trovò a essere al compimento di ciò che per lui era sempre stata vita, questa stessa perse improvvisamente ogni significato, e, nell'impetuosa violenza dettata da un pugnale, proiettato con precisione e forza simile a quella di un dardo, gli fu offerta innegabile e crudele dimostrazione dell'estrema caducità dei sogni, della fragilità delle illusioni, per quanto saldi nell'intima essenza di uno spirito puro, di una fede incrollabile: una dura lezione, un severo insegnamento volto a imporgli un necessario contatto con la grigia realtà quotidiana, che, tuttavia, il giovane non ebbe occasione alcuna di apprendere, non poté apprezzare, dal momento in cui la fredda e affilata lama così lanciata in suo contrasto, si conficcò nella parte superiore della sua gola, risalendo in un istante sino al cervello.
E, in conseguenza a ciò, la morte lo raggiunse stroncandolo sul colpo, senza concedergli occasione di soffrire, e senza permettergli, neppure, di comprendere effettivamente cosa potesse essere occorso in quel fuggevole istante, cosa avesse sì repentinamente trasformato una vittoria in sconfitta, un trionfo in una disfatta. Così, quando il caldo soffio della vita abbandonò il corpo di Be'Rooth, egli non poté rimproverarsi per scelte compiute o rimpiangere eventi propri del suo passato, continuando a mostrarsi fiero del proprio lavoro, sorridendo felice e dimostrando la soddisfazione di chi, dopo tanto penare, era riuscito a dimostrare la ragione delle proprie idee, la correttezza del proprio quotidiano agire.

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