11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 25 febbraio 2010

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S
ebbene l’idiozia propria dell’umanità sarebbe stata difficile minimizzare al livello proprio di una semplice formula matematica, di una banale, e in questo superficiale, analisi arbitraria, eventualmente sì in grado di rilevare un fenomeno di massa ma, obbligatoriamente, incapace di denotare, di far emergere la singolarità, l’eccezione alla regola comune, impossibile sarebbe stato ignorare quanto semplice sarebbe potuto essere far emergere, all’interno del continente di Qahr, il disprezzo per il prossimo, il pregiudizio verso l’estraneo, ponendolo in coerenza con una singola direzione e un solo verso, da nord-est a sud-ovest. In questa generalizzazione, pur naturalmente manchevole, pur lontana dal poter cogliere le sfumature spesso più significative persino rispetto al colore predominante, in un regno come Kofreya, posto nel versante sud-occidentale del continente, non avrebbero potuto mancare forti pregiudizi e discriminazioni in riferimento a qualsiasi altro suo vicino, a partire da Gorthia, a nord, e Y’Shalf, a est, per proseguire via via con ogni altro regno proprio di quelle terre, fino ad arrivare all’estremo più assoluto rappresentato dai regni desertici centrali, siti lungo il confine nord-orientale dello stesso continente, pregiudizi e discriminazioni che, in tal senso, non avrebbero evitato di coinvolgere anche lo stesso regno di Shar’Tiagh, considerato, a torto, quale una terra primitiva, quasi barbarica, priva del dono della civiltà che, altresì, aveva, a loro avviso, da sempre benedetto il regno kofreyota e il suo illuminato popolo.
Solo un idiota, invero, avrebbe potuto offrire effettivo credito a simili giudizi, avrebbe potuto fondare ogni propria valutazione su un intero popolo, su una grande nazione e su tutta la sua storia, la sua cultura, le sue tradizioni, la sua civiltà, basandosi su parametri tanto superficiali quali quelli che, paradossalmente, si ponevano invece quali di fondamentale valore allo sguardo di coloro bramosi di offrire la propria discriminazione, primo fra tutti, nel caso proprio del regno shar’tiagho, il costume lì imperante di non ricorrere all’uso di calzari di sorta, preferendo mantenere sempre un contatto con il suolo, con la nuda terra sotto ai propri piedi. E così, per un semplice fattore estetico, un’intera nazione era addirittura solita esser giudicata quale formata da barbari incivili, addirittura incapaci di comprendere, in ciò, ogni umano sentimento, poco più che semplici bestie. Se tale pregiudizio, se tanta negativa animosità rivolta nella direzione di quelle genti avesse mai avuto un qualche fondamento di verità, probabilmente Midda Bontor non solo non avrebbe potuto attendersi il trattamento che, altresì, le venne concesso ma, addirittura, non avrebbe neanche potuto supporre di essere accettata all’interno di quegli stessi confini, non a seguito del proprio comportamento, del proprio immotivato e violento attacco a discapito delle sentinelle preposte a sorveglianza del villaggio di Be’Sihl: in Kofreya, un similare comportamento offerto da un estraneo, da uno straniero, avrebbe significato sicuramente una rapida sentenza di morte emessa a suo discapito, giudicato qual delinquente privo di ogni possibilità di redenzione, giunto fino a loro solo per portare morte e distruzione. La mercenaria, al contrario, non solo non fu considerata al pari di una criminale, ma, chiarito ogni equivoco con i propri ospiti, venne accolta da tutti con grande festa, non in virtù del proprio nome, non in conseguenza della propria leggenda, praticamente sconosciuta in terre tanto lontane da quelle per lei consuete, quanto più, semplicemente, sinceramente, per il proprio legame affettivo con uno dei figli di quella stessa terra. Così, per quanto straniera, per quanto abitante dei regni sud-occidentali, per quanto caratterizzata da una pelle tanto pallida da apparire quale spettro allo sguardo dei presenti e da occhi tanto chiari da apparire quale strega nel confronto con i canoni tipici di Shar’Tiagh, dopo aver riposto la propria arma ed aver offerto le proprie doverose e imbarazzate scuse per il terribile equivoco nel quale ella si era lasciata intrappolare, la Figlia di Marr’Mahew, lì semplicemente proposta quale compagna di Be’Sihl Ahvn-Qa, fu subito accettata fra gli abitanti del villaggio, felici di poterla ospitare e, insieme a lei, di poter riabbracciare un figlio da lungo tempo lontano da casa.
E Midda, sebbene non avrebbe potuto negarsi di essere sinceramente scandalizzata con se stessa per il tremendo errore compiuto, per quanto accaduto, non riuscendo a cancellare un sentimento di immenso imbarazzo, di assoluta vergogna nella consapevolezza di quanto si era resa protagonista in quel frangente, non poté allora evitare di essere umanamente grata all’intero regno shar’tiagho per concedersi in tal modo quale una grandissima nazione, con una cultura, una tradizione per l’ospitalità a dir poco ammirevole, sentendosi in questo, in verità, quasi tornata a casa, alla tranquillità delle proprie isole natie pur estremamente distanti da lì, lontane da quella terra prossima al centro del mondo conosciuto. Nulla di più, nulla di diverso da quanto offertole avrebbe mai potuto sperare di ricevere, ben felice, anzi, di poter essere, per una volta tanto, non più una figura leggendaria, costantemente sfidata da inutili avversari bramosi di trovare nella sua sconfitta una qualche gloria della quale mai sarebbero stati degni, quanto, meravigliosamente, la compagna dell’uomo amato, degno e pieno coronamento, dopotutto, del senso stesso di quel loro viaggio verso nord, di quel lungo tragitto compiuto insieme, lontano da quanto, per lei, solitamente vita quotidiana.

« Ancora non riesco a credere di essere stata perdonata tanto facilmente, di essere stata accolta con tale familiarità, come fossi una di voi… »

Quella stessa sera, nel corso di una grande festa collettiva, un vero e proprio banchetto subito organizzato in loro onore da parte di tutto il villaggio e al quale tutto il villaggio stava allegramente partecipando, fu con tali termini che ella decise, alfine, di affrontare nuovamente il tema di quanto occorso poche ore prima, in un’ammissione candidamente proposta in un sussurro, quasi a voler celare ai propri anfitrioni simile sentimento, nel temere di poter recare loro una qualsivoglia offesa con la propria difficoltà ad accettare tanta generosità, dimenticandosi, in ciò, di come mai le sue parole sarebbero potute essere pienamente apprezzate dagli stessi anche se pronunciate ad alta voce, persino se gridate a pieni polmoni.

« Smettila di colpevolizzarti in questo modo. » le suggerì, con dolcezza, il locandiere, seduto a terra accanto a lei attorno alla lunga tavolata sì improvvisata e pur perfetta in ogni minimo dettaglio, accarezzandole nel mentre di tale risposta il bordo del viso con il dorso del proprio indice destro « Non hai ferito nessuno. Neppure nell’orgoglio… te lo assicuro. »
« Non importa. Avrei potuto ucciderli tutti… e lo avrei anche fatto se non fossi stata frenata dal desiderio di vendicare la tua morte. » insistette ella, sentendosi immeritevole di tanto affetto quale quello rivoltole dall’intero villaggio « Desideravo farli soffrire lentamente e non graziarli di una morte rapida e indolore. »
« Sono sinceramente diviso fra il sentirmi terrorizzato o adulato per questa tua affermazione. » ridacchiò l’uomo, dando riprova di aver rapidamente considerato risolta la questione al pari di tutti i suoi compaesani, per quanto la mercenaria, al contrario, non stesse offrendo riprova di condividere simile, semplice, soluzione « Nel considerare la questione dal tuo punto di vista, credo di poterla però considerare quale una vera e propria dichiarazione d’amore, dove sarei stato meritevole di tanto impegno da parte tua nel vendicarmi. Insomma: ciò che qualsiasi uomo vorrebbe sentirsi dire dalla propria compagna. »
« Stupido. » lo rimproverò lei, spintonandolo con delicatezza e, in questo, suscitando involontariamente l’ilarità di tutti i presenti a loro prossimi, i quali applaudirono immediatamente a tale gesto sebbene del tutto privi di consapevolezza nel merito del significato del dialogo che lo aveva generato « Visto? Mi danno ragione! Sanno anche loro che sei stupido quand… »

Purtroppo per lei, tali parole non riuscirono però a trovare naturale occasione di divertita conclusione, qual avrebbero probabilmente voluto riservarsi, nel ritrovarsi ad essere altresì strozzate nella sua gola nel momento stesso in cui, osservando lo stesso Be’Sihl, ella notò, con orrore, raccapriccio addirittura, così come mai le era occorso in passato in una vita fin troppo ricca di oscenità insopportabili per la maggior parte dell’umanità, una freccia proporsi inattesa, conficcata nel suo stesso cranio, penetrante in esso dall’orbita dell’occhio destro del medesimo, là dove l’aveva veduta immergersi nel corso dell’attacco mai avvenuto in quello stesso assurdo giorno.

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