11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 8 dicembre 2009

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I
n accordo a ogni mitologia, a ogni religione, a ogni storia sull’origine del mondo e della vita, da sempre terra e acqua si erano spartite la superficie del mondo, in una dualità assolutamente perfetta ed equilibrata. Tanto nel dominio della terra, rappresentato dai tre grandi continenti noti, tanto in quello dell’acqua, rappresentato dai mari infiniti e, in effetti, da una moltitudine di piccole isole sì considerabili quali terre emerse e pur, dopotutto, completamente incluse nei confini delle acque, la vita, animale e vegetale, aveva trovato il proprio spazio, occasione di origine e sviluppo, in percorsi a volte paralleli, spesso completamente diversi, tale da rendere simili realtà, sì gemelle, sì fisicamente prossime l’una all’altra, e pur estremamente differenti, eterogenee. Conseguenza immediata, evidente, di tanta sostanziale distanza, sarebbe dovuta essere considerata una ritrosia, talvolta una vera e propria incompatibilità, per le creature appartenenti ad una realtà di spingersi all’interno dell’altra, violando confini evidenti e pur non contenitivi, oltre i quali tutte le proprie certezze, tutta la propria consueta concezione del mondo, sarebbe potuta venir meno se non, addirittura, esser completamente negata. In virtù di tal ragione, quindi, legge non scritta e pur apparentemente non meno universale e inviolabile rispetto alla stessa morte, difficilmente gli uomini nati e cresciuti all’interno del continente avrebbero mai intrapreso volontariamente, e con gioia, un viaggio in nave, per mare, così come, parallelamente, rari sarebbero stati coloro che, nati e cresciuti su un’isola, immersi nella dolce protezione dell’azzurro mare, avrebbero negato alle proprie membra, al proprio corpo, la libertà loro concessa da quell’elemento per loro naturale, votando la propria esistenza alla terraferma.
Midda Bontor, nata qual figlia del mare, era un’eccezione, una donna che, nonostante oltre due decenni vissuti nel dominio delle acque, aveva deciso, infine, di cercare il proprio futuro in quello della terra, riuscendo, per forza o per amore, a adattarsi, ad ambientarsi come pochi sarebbero comunque stati in grado di fare. Ciò nonostante, nel proprio cuore, nel proprio animo, ella era e sempre sarebbe rimasta una figlia del mare e, per tal ragione, qualsiasi occasione di ricongiungimento a esso, in un viaggio in nave o, più banalmente, in una semplice nuotata, sarebbe stata per lei sprone di sincera e immensa gioia. Così, dove le guardie della dimora di lady Lavero, pur abitanti in una città portuale, all’oscuro mare della notte guardarono con diffidenza, con ritrosia e sospetto, non azzardandosi a seguire la loro preda, la folle assassina che tanto crudelmente aveva ucciso l’aristocratica loro padrona, la Figlia di Marr’Mahew non pose il pur minimo dubbio, la più semplice esitazione, nel domandare, anzi, agli dei e alle dee del mare di esser garanti della propria vita, del proprio futuro. Immersa in quel tiepido e accogliente liquido, che ancora, giovane qual si sarebbe dovuta considerare quella notte, non aveva completamente rilasciato il calore accumulato durante il giorno, ella ebbe occasione di nuotare con assoluta tranquillità, illimitata libertà, scivolando fra le pur lievi correnti lì presenti per guadagnare lontananza da quella casa di morte, dalla trappola in cui sembrava esser caduta. Gesto naturale, quel nuoto, così come sarebbe stato per chiunque altro una corsa, tale da concederle, nel contempo, possibilità di spingere la sua mente verso altri pensieri, verso altre prerogative, prima fra tutte quella volta all’analisi dei fatti occorsi, nella volontà di cogliere in essi una qualche logica, un qualche senso attualmente non presente, non evidente per lo meno.
La nobildonna suo obiettivo per quella notte, colei nella cui dimora si era insinuata e che pur mai avrebbe offeso in maniera aperta, diretta, desiderando sol dialogare, nel difendere la posizione di Carsa, attualmente propria protetta, era morta. Una morte violenza, indubbiamente, che non avrebbe dovuto esser ritenuta conseguenza di un’azione volontaria ed autonoma da parte della vittima, un suicidio, dal momento in cui quella figura non avrebbe potuto avere alcuna ragione per privarsi della vita, per negarsi ogni libertà, ogni coscienza, proprio ora che, dopo lungo tempo nel quale era stata costretta a restare in ombra, aveva finalmente potuto riguadagnare la luce del sole, nonché la possibilità di esser protagonista della vita sociale e politica della propria città, della propria intera provincia. Ma dove il suicidio sarebbe dovuto, allora, essere escluso, solo l’omicidio sarebbe potuto esser considerata causa di tanto spargimento di sangue, aprendo la possibilità a infinite alternative diverse, a illimitate possibilità. Lavero, infatti, sarebbe potuta esser morta in conseguenza di una violenza estemporanea, non pianificata, azione di un folle giunto a lei per errore, per semplice fatalità o, persino e assurdamente, per suo stesso invito, forse quale amante di una notte, fugace e effimero compagno di letto in un giuoco poi conclusosi in malo modo. Altresì, ella avrebbe potuto esser facilmente obiettivo, bersaglio, di un sicario, un assassino a pagamento, assoldato da uno dei pur molteplici avversari che on si sarebbe potuto escludere a lei facessero riferimento, ricchi e potenti mecenati suoi antagonisti che, magari, erano stati posti in secondo piano dal suo ritorno sulla scena di Kirsnya e che, in tal modo, avrebbero voluto garantirsi nuovamente spazio aperto, via libera. O, ancora, quell’omicidio sarebbe potuto esser considerato quale effetto collaterale, danno pianificato e pur non protagonista, di un’azione volta a qualche diverso obiettivo, nell’impadronirsi di un qualche cimelio pur appartenuto a quella famiglia, di una qualche reliquia propria del patrimonio, del tesoro, custodito incautamente nelle sue stesse stanze. Impossibile sarebbe stato, in assenza di qualche ulteriore informazione, di qualche maggiore dettaglio, intuire le ragioni di quella brutalità, là dove troppe alternative si sarebbero potute contendere un similare e tragico risultato.
Il flusso di pensiero, di ragionamento, sì condotto da parte della donna guerriero dovette, per un breve momento, essere interrotto, a concederle possibilità di prestare attenzione ai propri movimenti, al tragitto condotto all’interno di quelle acque oscure, pur giù regolarmente e autonomamente intervallato da rapide emersioni e nuove immersioni, a concederle, non diversamente da un delfino, possibilità di ritrovare ossigeno per i propri polmoni. Causa di simile imposto intermezzo, di tale necessaria pausa in un pensiero che pur non sembrava aver possibilità di raggiungere conclusioni utili, traguardi importanti, fu un breve litigio da parte della medesima mercenaria con le proprie stesse vesti, alterco che non manco di farle rimpiangere i quattro stracci con cui, per lunghi anni, era stata solita vestire. In verità, la sola differenza che avrebbe potuto essere rilevata fra i propri precedenti abiti e quelli attuali, sarebbe dovuta essere considerata nell’età degli stessi, dove entrambi, all’origine, avrebbero altrimenti offerto uguale forma, identico stile: anche il grigio avanzo di camiciola indossato fino ad alcuni mesi prima e che sarebbe potuto sembrare minimale corpetto atto a coprire unicamente le forme dei suoi seni, infatti, in origine era apparso esattamente conformato come la propria attuale casacca, non lasciandole scoperto né il ventre, né la schiena, né i seni e, addirittura, concedendole la possibilità di celare il proprio capo sotto un comodo cappuccio. Solo il tempo, l’usura naturale conseguente ad avventure ricche di violenza, aveva distrutto la stoffa, sformato quel capo di vestiario fino a qualcosa di completamente diverso, a una realtà nuova e che, nonostante tutto, avrebbe potuto riservarle indubbi vantaggi, come in quel momento, in quel frangente di nuoto, non ostacolandole i movimenti, non legandone le forme, non appesantendole inutilmente il corpo allo stesso modo di quanto, invece, stava compiendo la sua attuale, e quasi nuova, casacca.
Imprecando, mentalmente, in conseguenza di ciò, ritrovandosi quasi sul punto di strapparsi quell’inutile stoffa di dosso per nuotare sì nuda ma, almeno, libera, ella si trattenne da tal proposito solo al pensiero di quanto l’avrebbe poi attesa e, probabilmente, dell’impossibilità, nel suo futuro immediato, di procurarsi nuovi abiti, nuove vesti a sopperire all’eventuale abbandono di quella attualmente indossata. Offrendo buon viso a cattivo gioco, pertanto, ella riprese con serietà, con impegno, la propria fuga sottomarina in quelle acque tenebrose, rivolta non tanto al mare aperto o, più semplicemente, all’allontanamento dalla città, quanto alla zona portuale della medesima, ove, volente o nolente, mai avrebbe potuto trovare, neppure in mare, speranza di evasione da quei confini, da quei limiti, in conseguenza della blasfemia erezione di mura contenitive, protettive, da parte dei fondatori di quella capitale, addirittura sopra la superficie stessa del mare. In verità, sebbene apparentemente così impossibilitata a evadere in tali direzioni, se solo ella avesse voluto, probabilmente avrebbe anche potuto tentare un azzardo simile, dove nulla di straordinario esso sarebbe apparso nel confronto con strategie addirittura più improbabili da lei portate a termine con pieno successo nel corso delle sue numerose avventure: per quanto contrariata da tal pensiero, però, Midda non si sarebbe potuta considerare completamente libera di agire, di allontanarsi da quella capitale, dove mai avrebbe potuto abiurare al proprio impegno di fedeltà che, in quel momento, la legava duplicemente tanto al proprio scudiero, quanto alla giovane mercenaria che si era ripromessa di condurre in salvo, a debita distanza dalla sentenza di morte impostale da parte di quella capitale.

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