11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 19 novembre 2009

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« D
a quanti giorni è così legata? » ripeté la mercenaria, con assoluta tranquillità, addentando poi una porzione del proprio pasto e masticandola piano, lentamente quasi, nell’assaporare il piacere di quel nutrimento, con indifferenza apparentemente assoluta nei confronti della sorte di colei che le guardie pur sapevano esserle stata compagna di ventura al servizio di lady Lavero.
« Questo è il secondo… » dichiarò, allora, l’interlocutore prescelto per tale questione, rispondendo più in conseguenza della sorpresa, dello stupore derivante da quell’improvviso e inatteso confronto, che per un reale desiderio in tal senso, sebbene simile informazione non avrebbe potuto risultare in alcun modo compromettente, nell’assoluta e intrinseca inutilità della medesima.

La prigioniera, nel riconoscere immediatamente la voce sì proposta, quel tono pur familiare, dove solo poche settimane, neppure un mese, erano trascorse dal loro ultimo incontro, piegò appena il capo, per quanto le fosse possibile, nei limiti impostile dai pur presenti dolori per quella vincolante condanna, per cercare con il proprio sguardo conferma a quanto sarebbe potuto altrimenti risultare quale un semplice delirio, un momento di follia proposto a una mente che, forse, ormai stava iniziando a cedere il passo alla follia, alla perdita di controllo, di senno, per l’assenza di una corretta idratazione o per gli effetti dell’eccessivo calore qual si poneva comunque essere sottoposta. Nel trovare altresì, per quanto non completamente indubbia, conferma al quel temuto miraggio, la giovane donna cercò di muovere le labbra, constatando suo malgrado, al di là dell’apparenza ancora florida, ancora dolce, delicata, lo stato di rovina nel quale stavano rapidamente precipitando, donandosi effettivamente secche al punto tale da infrangersi in conseguenza di quello sforzo, screpolandosi in maniera assolutamente spiacevole e, ancor più, effettivamente dolorosa. Impossibile, in tal contesto, in simile situazione, sarebbe allora stato per lei riuscire addirittura a ritrovare voce, a riservarsi possibilità di parola, là dove tale sarebbe probabilmente stato suo desiderio e dove, pur, l’arsura che aveva tanto ferocemente leso le sue labbra non avrebbe di certo risparmiato il resto della sua bocca, della sua intera gola là dove avesse insistito in tale direzione. Affidando, allora, ogni proprio interrogativo al proprio sguardo, ai due immensi occhi castani ancor, fortunatamente, non accecati dall’insistenza del sole sopra di lei, ella cercò nella compagna, in quell’ipotetica sorella di fato, una qualche risposta, un chiarimento utile a comprendere quale ragione potesse averla spinta fino a quel punto, potesse averla condotta fino a quel suo capezzale.
Era, forse, Midda giunta fino a lei unicamente per deriderla? Per farsi beffe della sua imminente fine?
Un’ipotesi crudele, sicuramente, e pur non completamente irrealistica, soprattutto nell’osservare il cibo da lei così condotto in sua prossimità, un’offesa imperdonabile nei confronti di quella sua spiacevole situazione personale, dello stato in cui l’avevano condotta a riversare tanto tragicamente.

« Due giorni. » ripeté la Figlia di Marr’Mahew, dopo aver deglutito il boccone precedentemente fatto proprio, pronunciando con lentezza, quasi flemma, quelle due parole, nella volontà di soppesarle con cura « In condizioni ottimali di salute, privata in tal modo di acqua, forse potrebbe giungere alla settimana. » osservò, poi, storcendo le labbra in segno di disapprovazione « Purtroppo, però, immagino che la cucina delle vostre carceri non sia migliorata rispetto alla mia ultima visita al loro interno. E questo, probabilmente, abbassa in maniera ancor pià drastica le sue già scarse possibilità di sopravvivenza. »

Non solo la guardia interrogata, ma tutto il gruppo di sentinelle si volse allora a offrire attenzione a quella riflessione, a quelle parole, proponendosi chiaramente incuriosite dalle stesse, forse nel voler comprendere a qual fine ultimo, a quale scopo, quella donna guerriero sarebbe voluta giungere nel presentare loro tale percorso di pensiero.
Accanto a loro o, per meglio dire, fra loro, anche la condannata riconobbe il medesimo interesse verso quell’analisi, ancora impegnandosi nel voler cogliere il fine ultimo di quell’intervento, di quella visita, la quale mai si sarebbe potuta considerare qual casuale, qual semplice conseguenza della sorte. Alcuna ragione, per quanto a lei era noto, avrebbe del resto potuto spingere l’interesse della mercenaria fino a quella capitale occidentale, a quella città pur ricca di spiacevoli ricordi per la stessa e, in ciò, tutt’altro che meta ambita per una qualsiasi attività, anche a seguito dell’indulto riconosciutole, dell’amnistia concessale per ogni propria vertenza passata.

« Ora, probabilmente, se ella venisse slegata, potrebbe ancora riuscire a muoversi, a camminare, a scappare, soprattutto ove fosse aiutata, sostenuta nei propri movimenti. » proseguì ella, spostando il proprio sguardo e, apparentemente, la propria concentrazione nella direzione del proprio pasto, ancor prima che in quella della propria compagna « Già domani, invece, anche ipoteticamente privata di ogni costrizione, di ogni vincolo, a stento potrà riuscire a strisciare, costretta a trascinarsi pesantemente al suolo simile a verme, vedendo in ciò negata ogni umana dignità. Non che, innanzi alla morte certa derivante da questa condanna, simile termine possa effettivamente riservarsi ancora qualche valore, qualche significato… »

Nel mentre in cui, forse concluso tale breve monologo, la Figlia di Marr’Mahew tornò a mordere il pezzo di pane mantenuto nella propria mancina, con decisa voracità, sincera brama per quel sapore, per quella tenera carne, le sentinelle, suoi spettatori ancor prima che interlocutori, restarono in silenzio, assolutamente interdetti, del tutto incerti su cosa avrebbero potuto commentare in una tale situazione, su come poter replicare a un intervento tanto esplicito, sì freddo, e pur assolutamente corretto nella propria formulazione, nell’esame di quella situazione e delle aspettative future per la condannata. Ipocrita, da parte loro, sarebbe stato ipotizzare una qualche condanna morale verso simile comportamento, verso tanto distacco emotivo dalla sorte di quella vittima della giustizia kofreyota, là dove essi stessi erano altresì esecutori di simile sentenza di morte. Ciò nonostante, sebbene il loro ruolo, la loro professione, stesse imponendo su tutti loro tanto crudele posizione, quel giudizio non unanimemente condivisibile, in un modo avvertito quale non eccessivamente diverso rispetto a quello subito dalla prigioniera, pur entro certi doverosi limiti in tale azzardato paragone, alcuna similare giustificazione avrebbero potuto considerare valida qual razionale dietro alla reazione dimostrata dalla donna guerriero, per quel suo intervento non richiesto e pur volontariamente donato all’ attenzione loro e, peggio ancora, a quella della sciagurata già sofferente per le proprie legittime e innegabili motivazioni, alla quale alcun ulteriore disgrazia sarebbe potuta essere donata in aggiunta, in quel momento, se non per semplice sadismo.
Ma proprio colei che più avrebbe potuto e dovuto ritrovare offesa in un linguaggio tanto esplicito, in un’analisi tanto fredda nel merito delle proprie stesse condizioni, non mancò di cogliere il messaggio che la compagna pur le stava cercando di offrire in quello stesso momento, proponendolo alla sua attenzione in maniera così plateale, così esplicita, da riuscire a non stuzzicare il benché minimo sospetto nelle sue guardie. E nell’evidente volontà di accentuare la comunicazione che, correttamente, era già giunta a destinazione, un intervento conclusivo si impegnò a dissipare ogni possibile dubbio rimasto, ogni sospetto di fraintendimento che ancora avrebbe potuto caratterizzare la condannata, se solo ella non avesse avuto, in quel momento, necessità assoluta, innegabile, umana e mortale, di affidarsi ciecamente a qualsiasi tenue speranza, al più effimero sogno, per non soccombere in conseguenza della condanna assegnatale.

« Domani mattina, già all’alba, qui non vi sarà più nulla da vedere. Alcuno spettacolo da rimirare. » definì Midda Bontor, scuotendo il capo « Questa notte i miei pensieri correranno a te, amica mia. » sospirò, prima di voltarsi, a offrire le spalle tanto alla prigioniera quanto ai suoi carcerieri, nel considerare ormai risolta ogni questione, ormai chiusa ogni necessità di dialogo, là dove tutto ciò che sarebbe dovuto essere detto era già stato espresso e ogni ulteriore verbo sarebbe potuto ricadere solo a sproposito in quel delicato frangente.
« Riposa in pace, Carsa Anloch… e che tutti i tuoi dei siano al tuo fianco in questo momento di dolore, così prossima a liberarti dalle mortali catene che ora vincolano le tue carni e il tuo spirito indomito, ma che presto a nulla potranno a tuo discapito. » terminò in maniera ora definitiva, prima di iniziare ad allontanarsi con la medesima discrezione con la quale fino a quel punto era giunta, perdendosi nella folla pur imperante all’interno delle vie di quell’urbe.

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