11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 10 novembre 2009

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L
a principale caratteristica che aveva, da sempre, e avrebbe, per sempre, contraddistinto un semplice malcapitato improvvisatosi guerriero da un professionista della guerra, un combattente esperto, formato da un intenso addestramento o, meglio ancora, dall’esperienza di un’intera vita trascorsa nei campi di battaglia, sarebbe stata sicuramente il suo approccio nei confronti di un duello, di un confronto. Nel primo caso, infatti, l’inevitabile ostia sacrificale così votata al martirio, probabilmente senza alcuna coscienza di ciò, avrebbe cercato di mantenere un contatto visivo con il proprio avversario, con colui destinato purtroppo a divenirne carnefice, seguendone, in ciò, ogni gesto, ogni azione, con attenzione tale da perdere altresì di vista il fine ultimo di quello stesso incontro, concentrato più sull’arma che sul bersaglio della medesima, rappresentato in ciò dal proprio stesso corpo. Nel secondo caso, al contrario, per quanto sicuramente il senso della vista, tanto importante, tanto fondamentale nella vita quotidiana, avrebbe continuano a ritrovare un proprio ruolo, un proprio scopo, tale non sarebbe mai stato esclusivo, in negazione agli altri sensi, alle altre percezioni concedibili da parte non solo del proprio nemico ma dell’intero ambiente circostante, in quanto il duello non sarebbe mai potuto e dovuto dipendere semplicemente da tale fattore, da una reazione immancabilmente tardiva ad ogni azione avversaria, quanto piuttosto dalla capacità di anticipare effettivamente le scelte della controparte, di prevenirle ancor prima di contenerle. E dove simile caratteristica avrebbe immancabilmente caratterizzato la riuscita di un combattimento fra contendenti appartenenti alla stessa natura, alla stessa specie, forse ancor prima del suo inizio, ritrovando, nella parte più capace in tal senso, maggiori possibilità di sopravvivenza e vittoria, nel momento in cui il confronto fosse dovuto essere condotto fra esponenti di razze totalmente estranee l’una dall’altra, fra un uomo e una fiera, fra una fiera e un mostro o fra un uomo e un mostro, ancor a più ragione tale abilità avrebbe potuto offrire la speranza di una positiva conclusione ad una delle due parti in gioco, svincolando le proprie probabilità di successo dall’effettiva possibilità di seguire le azioni avversarie.
Fra le tante abilità, fra le tante capacità che avevano reso la sua figura tanto leggendaria, tanto famosa in quell’angolo di mondo, necessaria, indispensabile, nel frangente rappresentato dal duello con la chimera, fu per Midda Bontor la capacità di giostrare simile confronto non limitando la propria gestione del medesimo alle percezioni offerte dalla sua vista, ma a quelle derivanti da ogni suo senso, necessarie a spingerla, in ciò, oltre la semplice consequenzialità, verso quella che, superstiziosamente, si sarebbe potuta considerare quasi una preveggenza, nell’intuire, nell’anticipare le azioni nemiche ancor prima che esse potessero venir portate a compimento. Affrontare una chimera, infatti, avrebbe significato contrastare non tanto una singola creatura, un avversario senza dubbio formidabile e, comunque, dotato di chiari e delineati limiti, quanto piuttosto una massa corporea quasi considerabile priva di una reale, propria estensione fisica e, in questo, capace di mutare istantaneamente in infinite forme diverse. E così, dove un istante prima la mercenaria avrebbe dovuto difendersi dal morso di una feroce tigre, uno dopo avrebbe dovuto evadere dal violento colpo di coda di uno scorpione, dove un momento prima avrebbe dovuto ovviare agli artigli di un orso, uno dopo avrebbe dovuto evitare i denti di un serpente. Impossibile, folle, pertanto, sarebbe stato supporre di riuscire a seguire e reagire in conseguenza di una simile mutevolezza, di tale inconsistenza, quando nel solo razionalizzare tanta assurdità si sarebbe potuti esser uccisi senza neppure comprendere da parte di qual genere di avversario, quale fra i numerosi possibili volti della stessa chimera.

« Qualcosa non va… » commentò sottovoce, quasi a voler esprimere una confidenza verso un amico, verso un compagno di ventura, per quanto ormai fosse rimasta effettivamente sola, privata del supporto fino a quel momento comunque offertole dai due fratelli mercenari « Non riesco ancora a comprendere cosa… ma qualcosa non va. »

Difficile, in verità, sarebbe stato in quel momento, per lei, riuscire a concentrare i propri pensieri nell’analisi di quel dubbio, di quella sensazione, ancor prima che consapevolezza, di qualcosa di strano, di qualcosa di sbagliato in ciò che stava vivendo. La frenesia impostale da quello scontro, da movimenti continui e rapidi richiestile per evitare gli instancabili attacchi della controparte, le stavano richiedendo ogni minima possibilità di attenzione, ogni pur effimero pensiero, là dove una semplice distrazione, un solo istante di distacco da quell’assurda realtà, le sarebbe costato caro, più di quanto non sarebbe stata disposta a pagare. Ciò nonostante, forte di quell’incertezza, ella si costrinse ad impegnare le proprie energie non tanto nel contrasto alla creatura, quanto più nel disimpegno dalla stessa, nella volontà di evadere da essa per il tempo sufficiente a riuscire a completare il proprio ragionamento, ad analizzare la questione che comprendeva essere estranea a tutto quello, disarmonica nell’immagine d’insieme che avrebbe dovuto ricavare da quel particolare stato d’essere.
Decisa in tal senso, nell’evitare di essere trafitta dal corno di una creatura a sé sconosciuta, estranea a quanto mai le fosse stato concesso di conoscere e, sinceramente, ritrovandola in ciò tutt’altro che interessata a maggiore approfondimento, ella contrasse e distese improvvisamente tutti i propri muscoli per slanciare l’intero corpo all’indietro, a eseguire una rapida ed elegante serie di salti rovesciati, tali da farle guadagnare quasi trenta piedi fra sé ed il proprio avversario e, in ciò, probabilmente una manciata di effimeri istanti nei quali poter dar libero sfogo al proprio pensiero, alla propria mente, nella ricerca della consapevolezza prima negatale. E, per quanto brevi, per quanto purtroppo fugaci, quei brevi attimi riuscirono a premettere al suo intelletto di concentrarsi sul proprio nemico, sulla creatura a sé offerta, prima giustamente temuta e rifuggita in maniera istintiva, in reazione incontrollata al pensiero dell’antico confronto avvenuto nei riguardi di una simile, e pur, effettivamente, troppo rapidamente giudicata qual tale solo in conseguenza di pochi particolari e di un aspetto troppo banalmente rivelato.

« Chi sei?! » esclamò la Figlia di Marr’Mahew.

Nel mentre di quelle parole, rivolte forse verso la chimera o, forse, verso un altro non meglio precisato interlocutore, ella concesse alle proprie pupille un istante di estensione all’interno delle iridi, qual dimostrazione di stupore per la conclusione alla quale era giunta o, più propriamente, di rimprovero per aver concesso a simile realtà di trovare effettivamente ragione d’essere in sua opposizione: aveva infatti accettato in maniera affrettata l’idea di esser nuovamente a confronto con una chimera, peccando di vanità nel non investire neppure un momento, scandito da un battito del proprio cuore, a considerare una possibilità alternativa.
Un errore il suo, una sopravvalutazione delle proprie capacità quella in tal modo commessa, che avrebbe potuto condurla addirittura alla morte, se solo quella sensazione, quell’intuizione, non l’avesse riportata alla ragione, non l’avesse sospinta alla ricerca di una tregua per meglio analizzare i fatti, per meglio considerare la questione così come propostale innanzi.

« Non sei una chimera… ora lo so. » definì, proseguendo nel proprio monologo, in quella declamazione forte, decisa, incapace di prendere in esame un’eventualità di dubbio « Chi o cosa sei?! »

Impossibile sarebbe stato per lei ipotizzare una capacità di intendimento nel proprio reale avversario per le proprie parole, per il linguaggio così adoperato, dove effettivamente solo una era la certezza da lei maturata in merito alla sua natura, circoscritta quale assolutamente estranea a quella di una chimera. Nell’unica e precedente occasione di scontro con tale creatura, infatti, a Midda non era stata concessa alcuna possibilità di intravedere la mutevole forma della propria controparte se non al momento stesso in cui il combattimento era giunto al proprio termine, alla propria naturale conclusione nella morte della medesima, dove fino a un istante prima, fino al momento in cui la sua spada non le aveva trafitto il cuore, ella si era ostinatamente celata dietro a innumerevoli altre illusioni, a infinite immagini del tutto estranee alla propria vera essenza. Nell’essersi tanto apertamente svelata ai propri occhi, al proprio sguardo, quella nemica ora presentatale innanzi aveva, pertanto, esattamente negato simile stato, tale definizione, là dove mai una chimera avrebbe dichiarato in maniera tanto diretta la propria presenza anche dove ormai chiaramente individuata, rinunciando conseguentemente alla principale arma di confronto, di lotta che gli dei le avevano concesso.

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