11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 23 agosto 2009

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K
errya: il centro di Kofreya.

Definito tale non solo in conseguenza della posizione fisicamente occupata all’interno del territorio nazionale, dei confini del regno, quanto piuttosto per il potere politico che in essa, in quella magnifica, storica capitale, ritrovava il proprio fulcro, il proprio cardine.
Sebbene, infatti, il feudalesimo imperante all’intero di quello stato offriva idealmente, e sostanzialmente, una divisione del potere, della forza politica fra numerosi vertici, l’insieme dei valori, dei principi, delle tradizioni che mai sarebbero potute essere dissociate all’immagine di una famiglia reale, rappresentava ancora e, nonostante tutto, un innegabile valore aggiunto per quella città, per quella capitale, tale da renderla, soprattutto agli occhi dei ceti inferiori, un riferimento insostituibile, irrinunciabile. Così, se il re, la regina, i principi e le principesse ereditarie, al pari di tutti i membri della corte, per le leggi dai loro stessi antenati emanate, non avrebbero potuto accampare alcuna pretesa neppure all’interno delle mura di quella stessa urbe, dove la gestione della medesima Kerrya era affidata ad altri feudatari, ad altre figure preposte a preoccuparsi del mantenimento dell’ordine, del vivere civile in quell’area, tutti loro, coloro che avessero potuto far vanto di possedere sangue reale all’interno delle proprie vene, allo sguardo dell’opinione pubblica erano ugualmente rispettati ed ammirati, paradossalmente molto più di quanto non lo sarebbero potuti essere in un sistema di potere assoluto, accentrato nelle loro mani. Ogni problema, ogni giudizio, ogni sentenza proposta anche dal più povero artigiano, contadino, allevatore, per quanto privo di qualsiasi istruzione, di qualsiasi formazione, in effetti, sarebbe ricaduto, inevitabilmente, non a discapito degli illuminati monarchi, di coloro che, quasi prossimi agli dei, si ponevano ben lontani dal poter essere colpevolizzati a tal riguardo, quanto piuttosto agli ultimi signori, i più umili fra i nobili, gli estremi più sfortunati di quella classe sociale che il fato aveva voluto, comunque, ergere a superiore. Un sistema, pertanto, nel quale neppure i più elevati, i più privilegiati fra i feudatari avrebbero accettato di mantenere eccessiva responsabilità nelle proprie mani, nella consapevolezza del peso che ne sarebbe potuto conseguire innanzi agli occhi della popolazione, dei propri sudditi, ed il rischio continuo ed assillante di essere deposti in conseguenza di un atto di rivolta, dal basso, o di una nuova scelta, dall’alto.
La scelta di tale città quale sede del potere politico, in realtà, non si era mai proposta qual casuale, non si era mai concessa qual fine a se stessa. Kerrya, infatti, fra tutte le capitali kofreyote, fra tutte le grandi città del regno, si proponeva essere la sola che mai era giunta a conoscere gli orrori della guerra, l’odore della morte in immense distese di cadaveri al di fuori delle proprie mura. Favorita innanzitutto dalla propria posizione fisica, lontana da ogni confine, da ogni possibile fronte di battaglia, quell’urbe, con i propri abitanti, si era da sempre limitata ad ascoltare il clamore della guerra pur mantenendola lontana da sé, dalle proprie mura, dai propri edifici. Gli orrori della morte derivanti da quella follia della quale, nonostante tutto, l’umanità non sembrava riuscire a farne a meno, a Kerrya erano stati soltanto descritti, semplicemente riportati dai cantori, dai bardi, nelle loro cronache, nei loro poemi, risultando in ciò quali effettivamente estranei ad una reale possibilità di comprensione, trasformando le stragi in semplici numeri, il dolore e la pena dei soldati in banale e distaccata lirica, che mai sarebbe potuta essere apprezzata nella propria tremenda essenza. Anche in conseguenza ciò, probabilmente, si sarebbe potuto considerare originato il desiderio di conquista, di guerra, che da sempre aveva animato i cuori dei monarchi di Kofreya, non spinti verso tal cammino da ideali di religione e di tradizione, quale altrimenti si proponeva essere quello dei propri vicini gorthesi i quali della lotta avevano fatto un criterio di elevazione sociale e personale, quanto piuttosto da bramosia di mero arricchimento, di semplice espansione: ignorando il reale prezzo delle loro decisioni, di quell’assurda sete di potere, per i sovrani del regno era purtroppo eccessivamente semplice agire in maniera tanto stolida, comandando sui propri generali ed inviando i propri eserciti alla morte certa, tanto irrimediabile nella propria intrinseca essenza quanto effimera nel valore per la quale si poneva quotidianamente essere richiesta e tributata.
Benché quella capitale mai avesse avuto modo di conoscere il reale significato della guerra, la triste condanna derivante da una tale piaga, nel restare pur fedele all’architettura propria del regno, allo stile dominante in quel territorio, non una singola barriera poligonale si poneva eretta a difesa dell’urbe quanto, addirittura, una serie di ben tre mura concentriche, a racchiudere una serie di alte torri, edifici tendenti con fiero sprezzo al cielo, quasi anche tale territorio potesse essere conquistato dai mortali ai quali, altresì, era stato da sempre interdetto dagli dei. Erette su una base decagonale, le mura realizzate in pietra, con uno spessore ed un’altezza stupefacente, superiore a quelle di qualsiasi altra città kofreyota, proponevano ognuna cinque porte, disposte con voluta e pratica disarmonia le une rispetto alle altre, le esterne rispetto a quelle più interne, per offrire maggiori potenzialità in contrasto ad ipotetiche, e pur mai condotte, offensive in contrasto alla città. Chiunque avesse cercato di penetrare all’interno di quel triplo perimetro, oltre a dover affrontare tre diversi livelli di protezione, avrebbe dovuto anche confrontarsi con simile inconveniente, la scomodità derivante da tale proposta. Purtroppo, però, nel confronto con una realtà decisamente più serena rispetto a quella che avrebbe potuto caratterizzare altre capitali, più esposte al conflitto in corso con Y’Shalf o al pericolo di altri ipotetici avversari, da sempre quelle cinte pur tanto efficienti, accuratamente studiate, si erano donate quali un inutile tedio, fastidio, rallentamento per tutto il traffico che, quotidianamente, desiderava varcarle, per accedere o fuoriuscire da un centro tanto importante, fondamentale per la vita di quella provincia oltre che dell’intero stato. Ma, nella pur innegabile esigenza di sicurezza per quella che era la sede della famiglia più importante del regno, quelle quindici porte si ponevano tutt’altro che trascurate, abbandonate a se stesse, accentrando invece ai propri lati, lungo i propri bordi, un numero straordinario di guardie: e non comuni mercenari, per quanto il ricorso a simili professionisti fosse tutt’altro che disprezzato nel territorio del regno, quanto piuttosto soldati regolari, esponenti veterani dell’esercito, che soli avrebbero potuto garantire totale fedeltà e sicurezza ai monarchi, per una questione di principio ancor prima che did denaro, controllando con serietà, dedizione, impegno e pazienza priva di eguali l’usuale flusso di persone in transito entro le aree di propria competenza.

In conseguenza di tanta importanza per la capitale del regno, e tanta sicurezza posta attorno alla stessa, nell’intento di prevenire ogni possibile ingresso non gradito, quando i tre mercenari e lo scudiero giunsero in vista delle alte torri caratterizzanti il suo profilo, la sua forse blasfema sfida verso l’infinito ed il divino, non poterono evitare di arrestare i propri cavalli, il proprio avanzare in tale direzione.
Per quanto, infatti, alcuno fra loro avesse precedenti di ordine legale entro quei confini, conti in sospeso che avrebbero potuto ostacolare il loro ingresso in città, proseguire a cuor leggero verso la stessa, confidando semplicemente sulla buona fede dei propri compagni senza porre loro alcuna questione a tal riguardo, sarebbe potuto rivelarsi un eccesso del quale, successivamente, tutti loro avrebbero potuto avere di che pentirsi.

« Eccoci arrivati. » commentò Howe, prendendo per primo parola nel rompere il silenzio che aveva inevitabilmente colto tutti loro nel confronto con quel particolare panorama « Non è poi cambiata negli ultimi anni. Non trovi Be'Wahr? »
« E’… immensa… » osservò Seem, con sincera ingenuità dove, per quanto fosse nato e vissuto pur all’interno di una grande capitale quale oggettivamente era anche la città del peccato, egli non aveva mai avuto occasione di confronto con un centro di estensione pari a quello che ora gli si stava stagliando innanzi.
« E anche decisamente pericolosa. Forse molto più di Kriarya… » denotò Midda, aggrottando la fronte, nel scegliere quale riferimento proprio il territorio natale del giovane, nella volontà di concedergli una chiara comprensione del genere di sfida che avrebbero dovuto affrontare.
« Non è possibile, mia signora. Ti stai facendo gioco di me! » contestò lo scudiero, scuotendo il capo.
« Non lo farei mai su un argomento tanto serio. » negò ella, storcendo le labbra verso il basso « A tal proposito: Howe, Be'Wahr… credo che già sappiate cosa sto per chiedervi, vero? »

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