11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 19 febbraio 2009

406


N
onostante apparisse in quel momento decisamente calmo rispetto al giorno precedente, osservare da vicino il mare non poté che inquietarmi, se non anche terrorizzarmi, nel tragitto che mi vide seguire Midda lungo un intricato viluppo di moli. La funzione degli stessi, per quanto nessuno si fosse incaricato di esplicitarmela, apparve chiara anche al mio sguardo inesperto: essi erano fondamentali allo scopo di collegare le navi alla terraferma, alla costa, concedendo ai loro equipaggi di muoversi fra l’una e l’altra senza eccessiva difficoltà. Contrastanti, nel mio cuore, non poterono che risultare le emozioni suscitate anche dalle imbarcazioni: se da un lato, infatti, esse apparivano ai miei occhi come incredibilmente grandi, assurdamente smisurate, fossero esse di dimensioni reamente notevoli o banalmente minori, ed in ciò irrazionalmente pesanti negandomi la possibilità di comprendere in virtù di quale stregoneria potessero restare in sospensione sull’acqua, dall’altro lato le stesse non potevano evitare di essere da me giudicate quali sempre troppo piccole, soffocanti nello spazio concesso ad equipaggi anche molto numerosi. E nel pensiero di come tali uomini e donne si fossero votati a trascorrere una vita sopra il mare, il panico non poteva evitare di completare un razionale circolo nel tornare a volgersi alle acque ed alla loro immensità.
L’acqua del mare appariva chiara, cristallina, al punto che, dove non offuscato dal riflesso di superfici simili a specchi, le immagini delle navi, dei loro scafi e delle loro chiglie, come imparai a definirli solo in seguito, erano capaci di mostrarsi perfettamente definite, in una sospensione per me priva di logica nello stesso liquido nel quale affondavano. Dopo aver escluso l’ipotesi che tutti i figli del mare fossero anche stregoni malvagi votati ad oscure divinità ed, in ciò, capaci di concedere la capacità alle proprie navi di mantenersi all’interno delle acque senza sprofondare in esse, eventualità troppo fantasiosa ed assurda per poter perdurare più di qualche istante nella mente di chiunque, per quanto vergine nei confronti del mondo intero, molte furono le teorie che tentai silenziosamente di prendere in esame, anche allo scopo di distrarmi da ciò che mi era innanzi e, più in generale, attorno. Fra tutte, un’idea che particolarmente a lungo restò forte in me, fu quella che l’acqua del mare, a differenza di quella di un catino per il bagno, non fosse omogenea nella propria composizione, ma si dividesse fra una sezione più superficiale, morbida ed accogliente, ed una sommersa, rigida e sostenitrice quale una roccia stessa. Simile fantasiosa opinione, però, fu tristemente contraddetta nel denotare come non tutte le navi si inoltrassero nel mare con la stessa enfasi: quelle più grandi, più pensanti, risultavano spingersi maggiormente nella profondità delle acque in contrasto con le più piccole, minori, che quasi restavano sulla superficie stessa di quella realtà.
Nel mentre il mio sguardo, in simili ragionamenti, in tali filosofie, tentava di prendere confidenza con le acque, purtroppo, le stesse parvero respingermi, mostrandomi la propria minaccia, il proprio cupo potere. Osservare il moto ondoso, incessante, di quella superficie pur apparentemente quieta, mi colse impreparato nel contrasto ad un forte ed inatteso colpo alla bocca dello stomaco: un rantolio fu l’unico messaggio che riuscii a comunicare al mio cavaliere, prima di precipitarmi in ginocchio sul bordo del molo stesso, fortunatamente ad un passo dalla mia posizione, e dare libertà alla colazione di quella mattina che, calda ed abbondante, si riverso oscenamente nell’immensità del mare.

« Thyres… » esclamò, con sincera sorpresa, la donna guerriero, nell’assistere allo sgradevole spettacolo che non potei evitare di offrirle.

Imbarazzato, ferito in quell’unico briciolo di orgoglio che normalmente mi concedevo, in conseguenza di quel mio stesso gesto, restai piegato sul bordo del molo, da un lato temendo un nuovo conato e dell’altro non volendo affrontare lo sguardo della mia signora. Dove una parte di me era psicologicamente preparata all’idea di una simile reazione dopo un’eventuale prima battaglia, dopo un massacro, avendo sentito di come anche i più valorosi innanzi al cupo spettacolo di una strage non fossero in grado di mantenere il controllo sul proprio corpo, mai avrei potuto immaginare di concedere tanto semplicemente nell’osservare la superficie del mare e le sue leggere onde.
Che razza di uomo mi stavo dimostrando essere? Che idea avevo offerto a colei che tanto si era impegnata nella realizzazione di quel mio capriccio laddove, al primo banale sentimento avverso, già stavo permettendo al mio corpo di cedere in quel modo?
Purtroppo, quasi vittima di un incantesimo, di un maleficio offertomi dal mare stesso, nel riaprire lo sguardo e nel concentrarlo nuovamente sulla sua superficie, la medesima reazione appena vissuta non mancò di ripresentarsi, conducendo quel poco di cibo che ancora ero riuscito a conservare nello stomaco a riversarsi nelle acque innanzi a me.

« Non fissare le onde. »

Fu la voce della stessa Midda ad offrirsi a me in quello spiacevole momento, con tono caldo e comprensivo, forse materno, nel mentre in cui sentii la sua mano sinistra appoggiarsi delicata contro la mia schiena. Avevo temuto che ella potesse mal giudicarmi se non, addirittura, abbandonarmi a seguito di una tanto palese dimostrazione di debolezza, eppure così non era stato: al contrario ella si era chinata accanto a me, genuflessa al mio fianco per poter verificare la mia situazione, ed ora mi stava concedendo la propria esperienza, la propria conoscenza per superare quel momento di difficoltà.

« C-cosa? » risposi, con la bocca impastata nel tremendo sapore del mio stesso vomito.
« Non fissare le onde. » ripeté ella, con la stessa voce tranquilla, controllata « Offrire ad esse la tua attenzione ti porterà solo a nuovi conati. Prova a tenere chiusi gli occhi per qualche istante, poi risolleva lo sguardo, respira a fondo con il naso e cerca il cielo, non il mare… »

La ascoltai laddove, del resto, non avrei potuto o voluto fare altro.
Mi aggrappai alla sua voce con tutte le mie energie, cercando in essa di ritrovare la quiete perduta, la pace interrotta e seguendo quelle parole, quel consiglio, mantenni serrati i miei occhi nella volontà di non fallire nell’esecuzione di un tanto semplice comando. Stupidamente, però, ciò nonostante rividi innanzi a me il moto ondoso, rievocato dalla mia mente attraverso le immagini dei miei ricordi, e in conseguenza sentii il mio corpo tremare per nuova nausea.

« Dimentica le onde e dimentica il mare. » mi incitò la mercenaria, evidentemente comprendendo ciò che stava per accadere per la terza volta « Non ci pensare: concentrati sul cielo, ricorda le pianure attorno a Kriarya, il viaggio fra i monti Rou’Farth… »

Per quanto non fosse semplice respingere l’impeto di quel conato, tenni la bocca serrata quasi mi fossero state cucite le labbra con un filo di ferro e continuai a respirare con il naso, lasciandomi guidare dalle parole della mia signora verso le immagini di paesaggi a me più cari, ai quali soprattutto in quel momento non potei che sentirmi legato. Per tutta la vita, in Kriarya, mi ero ritenuto un estraneo, esterno a quella landa, alla mentalità dei suoi abitanti, ai parametri di giudizio lì vigenti: eppure, in quel momento, nel mentre della mia prima uscita in esplorazione del mondo circostante, non potei evitare che sentire nostalgia per la terra che solo allora riuscivo ad avvertire quale la mia terra.
Perdendomi in simili pensieri, in tali ricordi, sentii la nausea placarsi e, lentamente, risollevai il viso verso il cielo per poi riaprire, finalmente, lo sguardo. La crisi era stata superata.

« Come ti senti? » si informò la Figlia di Marr’Mahew, osservandomi con i suoi occhi di ghiaccio.
« Imbarazzato… » risposi, sottovoce, a labbra strette, non ancora voltandomi verso di lei nel temere un eventuale giudizio da parte sua.
« Non esserlo. » replicò ella, scuotendo appena il capo « E’ un malessere normale che colpisce spesso chi non è mai venuto a contatto con il mare prima. Vedrai che, con un po’ di impegno, supererai anche questa difficoltà: devi solo prendere confidenza con il nuovo ambiente e con le sue regole… e, naturalmente, offrire sempre il massimo rispetto verso esso e tutti i suoi dei. »

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