11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 19 gennaio 2009

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N
el momento stesso in cui Carsa estrasse la lama della propria ascia da Heska, ormai ritenuta priva di vita, un’improvvisa luce scaturì dalla ferita inflitta su quel corpo inerme, tanto forte, tanto abbagliante da accecare per qualche istante chiunque verso quella fonte stesse rivolgendo il proprio sguardo. Fuoco puro, vivo, bruciante, esplose dalla lesione come un fiume in piena, quasi stesse prendendo il posto del sangue che altrimenti ci si sarebbe attesi di trovare: in quella forza, in quelle fiamme, furono coinvolti tanto la preda quanto il predatore, tanto il carnefice quanto la vittima.
Midda, nonostante fosse stata quasi privata della vista di fronte all’enfasi di quella deflagrazione luminosa in una landa di tenebre, sbarrò gli occhi per lo stupore, immenso e sincero. Quello spettacolo, sconvolgente, non le si concesse come qualcosa di nuovo, sconosciuto e, soprattutto, nemico: al contrario quelle fiamme, quel fuoco, in breve assunsero sempre più chiaramente i tratti di una vecchia amica, che mai avrebbe creduto poter avere occasione di incontrare nuovamente nella propria esistenza.

« Fenice! »

Un sussurro, quello proposto dalle sue labbra, che rappresentò, però, una gioia incontenibile, una felicità priva d’eguali, scandita dai battiti del suo cuore improvvisamente divenuti tanto rapidi, frenetici, da far temere che esso stesso sarebbe potuto scoppiare da un momento all’altro. Molte sarebbero potute essere le domande, molti sarebbero potuti essere i dubbi che nella sua mente si sarebbero dovuti affollare innanzi a quella presenza, a quella comparsa inattesa ed inattendibile, ma alcuna riuscì a trovare formulazione, alcuna sembrò avere senso in quel momento: l’esperienza che ella aveva condiviso con la fenice, trent’anni prima, era stato uno dei momenti più belli della propria esistenza, donandole sensazioni mai provate prima, in un senso di appagamento, di completezza, di gioia privo di eguali. Ed ora, averla nuovamente vicina, si stava concedendo quale il regalo più grande che gli dei avrebbero potuto riservarle, avrebbero potuto concederle, fosse quello anche il segno della sua imminente fine, dell’appuntamento con il proprio fato a cui era fuggita forse troppo a lungo.
Nel mentre in cui la vista si concesse nuovamente alla mercenaria, l’immagine che si propose innanzi a lei ebbe dell’incredibile, contemporaneamente offrendo conferma a molte ipotesi ed aprendo spazio per molte nuove domande. Nella luce che, ancora abbagliante, stava venendo irradiata dal corpo infuocato della creatura mitologica, la figura di Carsa apparve sdoppiarsi, quasi come se lo sguardo dell’osservatrice stessa si fosse incrociato dando ragione a strani giochi ottici: tale duplicità, però, non propose due profili fra loro identici, dimostrando, da un lato, la stessa donna che fino a quel momento aveva levato le proprie offese contro la coppia e, dall’altro, una presenza totalmente diversa, difficile da delineare con precisione nelle proprie fattezze, nella propria fisionomia quasi si offrisse sfocata ed impossibile da focalizzare. E mentre la prima apparve frastornata, sbalordita, quasi terrorizzata nel confronto con la fenice, la seconda si propose chiaramente contrariata, iraconda, furente per quell’intromissione.

« Maledetta! » gridò la voce della strega, risultando all’udito di Midda doppia non diversamente dalla sua immagine, producendo uno strano effetto stereofonico « Maledetta! Non potrai liberarti di me… non questa volta! »

Le ampie ali infuocate della fenice si mossero ripetutamente innanzi all’avversaria, creando in quel gesto un turbinio d’aria e di fiamme strabiliante, all’interno del quale la regina Anmel non parve avere possibilità di azione o di evasione: vani si dimostrarono, invero, i tentativi di attacco contro l’uccello di fuoco, vedendo tutta la propria incredibile energia, tutto il proprio devastante potere respinto in ogni occasione contro di sé. E dove l’immagine di Carsa si concesse ad ogni istante sempre più spaventata, sempre più provata da tutto quello, forse finalmente e nuovamente cosciente di sé e di quanto stesse accadendo, quella della sua metà oscura, della sua ombra diabolica apparve al contrario sempre più dominata dalla rabbia, non accettando la possibilità di resa, di sconfitta per quanto apparisse inevitabile.

“Il tuo potere non può essere sufficiente in questo piano di realtà…” scandì la voce psichica della fenice, proponendosi con la propria naturale calma, con il proprio consueto carico di serenità e pace “Il cuore di colei che ti ha accolta sarebbe stato degno più per la Portatrice di Luce che per l’Oscura Mietitrice…”
« In lei vi era malvagità… » negò la regina Anmel, risultando sempre più separata rispetto a Carsa, proponendosi ad ogni istante quale una figura più esterna alla propria ospite « Ira, risentimento, desiderio di vendetta… non puoi essere tanto cieca da non accorgertene! »
“E’ una mortale… è un essere umano… e come tale non può negarsi certi sentimenti, simili emozioni. Non puoi ignorarlo.”

Il confronto si propose epico fra le due entità, entrambe oltre ogni umana capacità di raziocinio: la Figlia di Marr’Mahew tentò vanamente di seguirne l’evoluzione, ma già il mantenere sollevate le palpebre di fronte a tanta luce risultò per lei estremamente doloroso, richiedendole una concentrazione fuori dal comune. Ciò che poté cogliere chiaramente, fu l’improvviso distacco delle due figure gemelle, ritrovando l’ospite umano, Carsa, ricadere lentamente a terra: la donna, evidentemente priva di sensi, si lasciò scivolare sul suolo ruvido offerto dalla pietra oscura con cui quell’enorme piramide era stata edificata, perdendo in conseguenza di simile atto la propria corona che rotolò non lontano da lei. In quella svolta, per quanto le dinamiche di ciò che stava accadendo non le potessero essere completamente chiare, Midda si sentì di considerare un chiaro segno di superiorità per la fenice, di vittoria per la sua amica, ma subito dopo una nuova esplosione di energia rossa parve volerla contraddire, vedendo le fiamme spazzate dal potere della regina Anmel, ormai svincolato da qualsiasi spoglia mortale nella quale precedentemente poteva aver ritrovato ospitalità e riparo.

« Ormai sono stata liberata dalla mia prigione e una tua ipotetica tua vittoria non potrà essere duratura. Non hai mai potuto e mai potrai importi su di me per tempi indefiniti… lo sai! » gridò la voce della strega, ormai privata della propria stereofonia nell’assenza del contributo prima offerto, forse involontariamente, da Carsa « Non è stato così in passato e non potrà esserlo in futuro! »
“Non è mio compito, infatti.” replicò con tranquillità la fenice, riproponendo il proprio ardore con maggiore intensità, a recuperare la posizione di precedente forza nei confronti dell’avversaria.
« Ma anch’ella non potrà far nulla… è vecchia… è stanca… e presto sarà anche morta! » commentò l’altra, in risposta a quell’osservazione, voltandosi nella direzione della mercenaria, osservandola con un volto ancora indefinito, indecifrabile agli occhi della donna stessa « Preparati ad incontrare i tuoi dei, Midda Bontor! »

Con uno scatto rabbioso, con un impeto tale da infrangere la morsa in cui la propria avversaria l’aveva rinchiusa, la regina Anmel si gettò verso la Figlia di Marr’Mahew, decisa a terminare quanto iniziato, a portare a termine quel compito di morte, quell’incarico fatale. Impossibile per l’anziana donna guerriero sarebbe stato difendersi da tale carica, anche ammesso di riuscire a muoversi, di poter avere ancora il controllo sul proprio corpo come, altresì, purtroppo non possedeva: ciò che le si stava parando innanzi era, indubbiamente, una forza superiore a qualsiasi sua immaginazione, a qualsiasi sua possibilità d’azione. Solo una cosa le fu così concesso di fare, come del resto suggerito dall’annuncio di condanna di quella sorta di spettro: pregare.

« Thyres… » sussurrò, preparandosi alla fine.

Ma prima che i tentacoli della peggiore fra le morti possibili potesse avere l’occasione di sfiorare quelle carni ormai non più giovani, ormai private del vigore di un tempo, l’uccello di fuoco raggiunse nuovamente il proprio eterno nemico, sprigionando attorno ad esso, in esso, tutto il proprio potere, tutta l’essenza più pura della propria natura.
E con un terrificante grido, innaturale, inumano, quella battaglia trovò improvvisamente la sua naturale conclusione, in un’esplosione di luce tale da dissolvere le blasfeme tenebre imposte sulla Terra di Nessuno.

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