11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 8 dicembre 2008

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I
l cantastorie in questione, come Heska e la sua famiglia ebbero subito modo di accorgersi, non era un uomo, quanto una donna.
Seduta al centro di una piccola folla, ella reggeva lo zither sulle proprie gambe, mantenendolo fra il petto e la mano destra nel restare, così, libera di suonarlo con la mancina. Dolci si concedevano le note emesse da quelle numerose corde, sulle quali le dita della sconosciuta danzavano con maestria, con entusiasmo, capace di concedere un’energia vitale più unica che rara in quella musica, simile a quella di una novizia, di una ragazza alla sua prima occasione di contatto con simile strumento, quasi non avesse sognato di poter fare altro per anni, quasi avesse a lungo desiderato potersi impegnare in tal senso senza averne la possibilità: difficile, però, credere ad una tale ipotesi, laddove per apprendere l’arte necessaria a gestire quel particolare strumento con tanta padronanza sarebbero occorsi anni di applicazione. Intrecciandosi alle note emesse dallo zither, poi, era la voce del bardo: non esattamente dolce, a tratti quasi graffiante, essa sarebbe forse potuta essere considerata meno piacevole rispetto ad altre tonalità, ad altri suoni, ma in questo non si sarebbe di certo concessa alle orecchie di alcuno comunque sgradevole. Al pari dei gesti da ella offerti, poi, in quella voce si concedeva una forza, un potere interiore incredibile, capace di risvegliare anche l’animo più apatico e coinvolgerlo nella propria canzone: quella donna, forse addirittura un decennio più anziana rispetto ad Heska, si concedeva con lo stesso entusiasmo per la vita, con la stessa energia che avrebbe dimostrato un ventenne o che, peggio, molti ventenni non erano in grado di dimostrare.
In simile forza, i capelli ingrigiti dagli anni attorno al suo capo, insieme a diverse rughe su una pelle chiara, quasi pallida ed appena ornata da una spruzzata di lentiggini all’altezza del naso, sembravano quasi stonare, quasi apparire inopportuni, costringendo a ricordare che ella non era più una ragazzina, quanto piuttosto una donna ormai prossima all’ultimo grande ed immancabile appuntamento di tutti i mortali nelle aspettative di vita della loro epoca, del loro mondo. A compensare, comunque, una tale imposizione di anzianità in ella, si concedeva l’azzurro chiaro e tremendamente intenso, quasi simile a ghiaccio, dei suoi occhi o, meglio, del suo occhio, laddove solo il destro risultava visibile nel particolare taglio di capelli da ella proposto, il quale mezzo viso lasciava celato dietro ad una barriera di lisce ciocche. Fu proprio tale particolare, la tonalità fredda di quell’iride, tutt’altro che comune, a pretendere completamente l’attenzione di Heska, ritrovando in esso qualcosa che non avrebbe pensato possibile incontrare nuovamente, qualcosa che non sarebbe stato possibile incontrare nuovamente a meno di non illudersi vanamente che i morti non fossero più tali, che coloro considerati irrimediabilmente perduti potessero ritornare dall’aldilà a recuperare la vita, l’esistenza perduta.
La prima volta in cui ella aveva incrociato uno sguardo tanto intenso, pur nel colore del ghiaccio, era stato il giorno in cui Marr’Mahew aveva preteso da lei il mantenimento dei propri voti, delle proprie preghiere, offrendole innanzi sua Figlia quale una sorella, scelta dal fato per salvarla e donarle nuova e più intensa vita.

« Madre? Madre… tutto bene? »
Fu la voce di Gaeli a distrarla dai propri pensieri, da quelle memorie di un passato tanto lontano, dai vaneggiamenti forse di una donna divenuta troppo nostalgica nell’avvicinarsi al mezzo secolo di vita: « S-sì. » rispose, sorridendo verso la figlia, voltandosi verso ella « Certo che sì, perché me lo domandi? »
« Non so… ti ho vista sbiancare di colpo ed ho temuto non ti sentissi bene. » rispose preoccupata la figlia, sinceramente in ansia nel proprio tono di voce e nel proprio sguardo « Se sei stanca forse sarebbe meglio tornare subito a casa… »
« No. » scosse il capo, sorridendole con dolcezza « Sentiamo una canzone prima… o i piccolini si sentiranno traditi dalla loro nonna. »
« Come preferisci… però se non ti sei sentita bene non dovresti nascondermelo. » la rimproverò con dolcezza l’altra, temendo per la sua salute, non avendo alcuna intenzione di separarsi dall’unica figura parentale rimastale.
« Sto bene… » ribadì la donna, aggrottando la fronte « E non trattarmi come una vecchia: ti devo forse ricordare che tuo nonno, alla mia età, ha combattuto e vinto la battaglia che oggi stiamo ricordando? »
« D’accordo… d’accordo… » annuì Gaeli, sfogando il proprio sentimento in un bacio scoccato contro la guanciotta del figlio sorretto fra le proprie braccia « Ma non mi fare preoccupare… ti voglio bene, dovresti saperlo. »

Dandosi della sciocca, Heska tornò ad osservare il bardo, nella quale per un momento si era illusa di aver visto una persona che non avrebbe potuto più essere, una persona totalmente diversa, del resto, da quella che le era di fronte in quel momento.
La donna, la cantastorie, si proponeva seduta tranquilla su uno sgabello, in mezzo alla folla, a suonare il proprio strumento e cantare gesta di mitici eroi e leggendari cavalieri, nell’assolvimento del proprio ruolo. Sotto al viso, segnato dal tempo e caratterizzato da una fossetta al centro del mento, un fazzoletto nero si stringeva attorno al collo di ella, anticipando una pesante casacca verde scuro che il suo torso avvolgeva e celava in forme vaste, tutt’altro che attillate: oltre ad essa, un giaccone chiaro, sporco ed impolverato, copriva le sue spalle scendendo lungo le braccia e lungo il corpo fino a terra, riprendendo forse lo stile un tempo proprio delle divise kofreyote, ma privato di ornamenti, di fregi e di colori. Attorno alle gambe, poi, si concedevano pantaloni di simile colore, rivestiti nella propria parte superiore, fino a sotto le ginocchia, da un rinforzo metallico, una sottile maglia intrecciata nella stoffa stessa dell’abito per renderlo più resistente non solo alle intemperie ma, sicuramente, anche ad eventuali offese: offerto in ciò era sicuramente un dettaglio particolare per un cantore, tutt’altro però che unico laddove ella evidentemente proveniva dal continente e, in questo, da un mondo ancora ricco di violenza e soprusi, nonostante la guerra avesse spazzato via molte antiche realtà. Un fisico asciutto era distinguibile nonostante tale abbigliamento, caratterizzandosi in arti atleticamente formati, che ancora una volta sembravano voler contraddire l’età della donna: anche in questo frangente, comunque, il bardo non rappresentava nulla di ineccepibile, nulla di straordinario, laddove la stessa Heska, seppur probabilmente più giovane rispetto ad ella, presentava un fisico scolpito dai propri quotidiani allenamenti allo stesso modo in cui Lafra, suo padre, si concedeva alla sua età in perfetta forma in conseguenza del proprio lavoro alla fucina.
Ai piedi della donna, infine, erano stivali in pelle nera, anch’essa impolverata al punto tale da apparire praticamente grigia, non dissimile al colore dei suoi capelli. A completare il particolare quadro offerto da quella straniera, immancabile sarebbe stata la custodia per lo strumento, in rigido cuoio marrone: in quel momento essa giaceva appoggiata a terra davanti a sé, aperta ad accogliere eventuali offerte da parte del pubblico, ma, usualmente, essa sarebbe stata certamente portata a tracolla, per concederle maggiore libertà di movimento in viaggio. Originale ed impossibile da non notare, nel seguire i gesti del bardo sul proprio strumento, risultava essere l’osservazione di come solo quel mezzo volto scoperto dai capelli si concedesse quale unico frangente di pelle visibile in ella: addirittura le dita in azione sullo strumento, le mani impegnate nel creare note e musica, infatti, apparivano rivestite da guanti marroni, tutt’altro che consueti per uno suonatore di zither il quale, al contrario, avrebbe dovuto preferire un contatto diretto con le delicate corde da stuzzicare per dare vita alla propria musica.
Mentre ancora Heska si stava proponendo ancora impegnata nell’analisi della figura che era stata capace di suscitare in sé una viva agitazione, la medesima suonatrice concluse il canto della ballata in corso, venendo accolta in ciò da uno scrosciare di applausi rivolti da tutti coloro che, lì attorno, l’avevano ascoltata fino a quel momento.

« Vi ringrazio. » dichiarò la donna, osservando il proprio pubblico nel mentre in cui le proprie dita approfittarono di quella temporanea sosta per verificare l’accordatura corretta dello strumento « Siete troppo buoni nei miei riguardi: sono solo un umile cantore e non merito tanta acclamazione. »
« Se la mia arte è riuscita comunque a concedervi un qualche piacere, vi prego di volerne concedere altrettanto a me, dove purtroppo non mi è concesso di vivere unicamente delle note delle mie canzoni. » aggiunse poi, in un sorriso sornione nell’accenno a possibili offerte che i presenti avrebbero potuto presentare quale segno concreto del proprio apprezzamento.

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