11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 9 novembre 2008

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S
econdo quanto supposto da Sha’Maech, il diadema perduto sarebbe dovuto essere conservato in un luogo di particolare rilievo all’interno della necropoli, un edificio di particolare importanza nel desiderio di offrire il giusto onore, il giusto riposo a quella reliquia assimilabile ai resti mortali della regina Anmel: sbilanciandosi, lo studioso aveva infatti ipotizzato che l’intera necropoli fosse sorta in conseguenza a tale sepolcro, tale santuario nelle mura del quale era stata riposta la corona, offrendo alla medesima il ruolo e la posizione più importante nella città dei morti. Nel confronto naturale con Kriarya, pertanto, con l’arrivo della nuova alba, Midda condusse i propri compagni con decisione verso la localizzazione di quello che sarebbe stato il palazzo del feudatario: se davvero le due città si ponevano come derivate da un modello comune, nessun altro luogo migliore di quello avrebbe potuto considerare come “centrale”, nonostante a tutti gli effetti il feudatario fosse una figura retorica nel governo della città del peccato, dominata altresì dai signori locali, dai padroni della criminalità organizzata in quei confini geometrici ed in tutto il territorio circostante.
Attraversare alla luce di un nuovo giorno la Città della Pace fu per i quattro cavalieri meno spiazzante di quanto avrebbero potuto temere, nel rendersi conto in prima persona di quanto effettivamente poco o nulla fosse rimasto di quell’antico complesso funerario: i resti delle fondamenta dei vari edifici si individuavano a fatica nell’erba e, probabilmente, se non avessero avuto modo di tracciare una rapida mappa prima di ridiscendere dalla posizione sopraelevata del loro accampamento notturno, e se non vi fosse stato tanto parallelismo con la vicina capitale della provincia kofreyota, irriconoscibile sarebbe stata la presenza di quelle pietre nel paesaggio attorno a loro, proponendo quell’area come assolutamente comune. Più volte, nonostante tutte le precauzioni adottate per il caso, essi ebbero modo di perdere i punti di riferimento attorno a loro, allontanandosi dal tragitto stabilito: per questo, oltre ovviamente per la non brevità di simile percorso, il sole raggiunse il proprio zenit prima ancora che essi potessero arrivare al proprio obiettivo. La sola idea che in un lontano passato tutto ciò che ora li circondava fosse edificato ed ogni abitazione dedicata ad un morto o ad una famiglia di morti risultava estraniante, ponendo i quattro avventurieri a confronto con un mondo assolutamente lontano da tutto ciò a cui erano abituati.
Per quanto numerose potessero essere le difficoltà proposte loro, poco dopo il meriggio essi raggiunsero la propria meta, ritrovandosi di fronte ad una situazione non dissimile rispetto a quella già affrontata fino a quel momento: anche dell’ipotetico santuario, di quell’importante erezione all’interno del quale avrebbero dovuto ritrovare la corona perduta, non restava traccia se non in poche pietre di fondamenta sparse su un’area sufficientemente vasta. Non che si fossero aspettati di trovare qualcosa di differente, laddove altrimenti sarebbe stata perfettamente visibile non solo a loro stessi ma anche a chi, prima di loro, era lì giunto senza trovare nulla di rilevante, nulla d’interessante da segnalare: inevitabilmente, però, quella piattezza, quell’assenza di qualsiasi apparente traguardo da poter oltrepassare li poneva in un certo disagio, non permettendo loro di intravedere la fine della propria avventura.

« Dobbiamo perlustrare l’intera area… » suggerì Be’Wahr, osservandosi attorno.
« Cercando cosa? » chiese senza convinzione Howe, guardando il fratello divertito nel sentirlo tanto sicuro nell’offrire quei consigli dal sapore di ordini a tutti loro, quasi si fosse proclamato loro gerarca.
« Non lo so… » ammise il biondo, arrossendo di imbarazzo nell’accorgersi dell’azione inopportuna di cui si era reso protagonista « … Midda?! » domandò a quel punto, invocando il di lei aiuto.
« Per il successo della nostra missione, dobbiamo ritenere improbabile la presenza in superficie della corona. » rispose la mercenaria, appoggiando a terra le borse in pelle che aveva condotto con loro, con materiale utile a quel genere di situazioni, quali torce, corde, rampini ed altro « Concordo con l’idea di perlustrare l’area, cercando una qualsiasi possibilità di accesso ad un sotterraneo, ad una cripta nascosta all’interno della quale proseguire nella nostra missione… »
« Sbrighiamoci allora. » incitò Carsa, imitando il gesto della compagna « Le tenebre della notte arriveranno fra poche ore e sarebbe ideale riuscire ad essere di ritorno prima di allora… »

Con quella consapevolezza, i quattro mercenari si divisero, partendo dal presunto centro dell’edificio ed allargandosi nel seguire le direzioni cardinali per non permettere ad alcun particolare di sfuggire alla loro ricerca, al loro controllo, nel setacciare ogni piede quadrato di quel terreno. Be’Wahr, per primo, iniziò a far roteare la propria spada, simile ad un coltellaccio nella propria forma, per liberare il tragitto di fronte a sé dall’alta erba, per cercare di rendere più visibile qualsiasi cosa stessero cercando: un’idea elementare ma, in effetti, tutt’altro che sciocca, laddove dopo poco anche Midda, Carsa ed infine Howe, lo imitarono, ognuno con le proprie armi, cercando di fare ben attenzione, ovviamente, a non gettare il metallo delle medesime contro ad eventuali pietre nascoste, per evitare il rischio di un eventuale impatto che avrebbe altresì potuto rovinarne il filo perfettamente curato. Non fu un’opera rapida o semplice e, purtroppo, le aspettative proposte dalla giovane donna si ritrovarono ad essere tradite laddove solo poco prima del tramonto il shar’tiagho lanciò un grido di richiamo, nel richiedere l’attenzione dei propri compagni verso ciò che aveva trovato.

« Forse ci siamo! » suggerì loro « Venite, presto! »

I tre accorsero senza indugi ed, in ciò, furono posti di fronte ad una stretta voragine, un passaggio nel terreno che sarebbe stato altresì invisibile se coperto dalla folta erba ora rimossa. Come una depressione, un cedimento, ancor prima che un vero e proprio ingresso esso si concedeva allo sguardo, non dimostrando alcun umano intervento nella propria formazione, nella propria ragion d’essere: di certo, però, quel passaggio si stava proponendo loro come l’unico reale risultato in quell’estenuante ricerca e per questo non avrebbero potuto in alcun modo ignorarlo, per quanto potesse non apparire simile all’immagine formatasi nelle loro menti sull’obiettivo di tanto impegno.

« Potrebbe essere… » ammise Midda, inginocchiandosi di fronte a quel buco oscuro nel terreno.
« O anche no. » contestò Carsa, ricoprendo ancora una volta il ruolo di voce critica nel gruppo, un compito sicuramente ingrato ma altrettanto utile per tutti loro, come anche i di lei compagni ben comprendevano « Io non vedo ingressi a qualche cripta o comunque passaggi di umana manifattura: è solo un buco nel terreno. »
« In effetti potrebbe essere qualsiasi cosa… » si ritrovò concorde lo stesso Howe il quale, nonostante la sua scoperta, ora stava iniziando ad avere legittimi dubbi a tal riguardo.
« Qualsiasi cosa, giusto. » annuì Be’Wahr « Compreso ciò che stiamo cercando… »
« Invero anche se non fosse il vero ingresso, la presenza di una simile apertura nella terra compatta non può essere casuale: potrebbe semplicemente essere conseguenza di un crollo sotterraneo in una delle gallerie a cui bramiamo di aver accesso. » intervenne nuovamente la Figlia di Marr’Mahew, ad offrire un altro punto di vista su quell’anfratto « Tentare di far luce sulla questione non ci costerà di certo… »
« In che senso? » le domandò il shar’tiagho. Aggrottando la fronte.
Sorridendo a quella domanda, la donna guerriero si allontanò momentaneamente dai propri compagni per dirigersi verso le sacche abbandonate poco lontane, tornando in breve con una lampada ad olio sorretta nella mancina ed una lunga fune arrotolata stretta nella destra: « In senso letterario… »

Sotto gli occhi dei compagni, che immediatamente compresero le di lei intenzioni, con pochi gesti sapienti Midda accese la lampada e la legò ad una cima della corda, per poterla in tal modo calarla all’interno dello stretto pozzo e cercare di comprendere meglio ciò con cui si sarebbero potuti confrontare. Nella propria discesa, la lampada illuminò chiaramente almeno sei piedi di terra compatta, friabile, che spesso cedette nei propri bordi a tale passaggio, presentando in ciò un cammino tutt’altro che gradevole per loro, se davvero avessero deciso di inoltrarsi in esso. Non potevano infatti sottovalutare il rischio di una possibile frana, sotto la quale sarebbero potuti essere tutti sommersi, trovando una spiacevole e prematura fine: sotto al limite di tale naturale strato, però, fu altresì concessa alla loro vista una nuova speranza, offerta dalla presenza di un cunicolo in pietra lavorata.

« Direi che abbiamo trovato una possibilità d’accesso! » commentò con soddisfazione la mercenaria.

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