11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 23 agosto 2008

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I
primi avversari che, all’interno dell’Arena, si presentarono contro la mercenaria e la di lei lama dagli azzurri riflessi furono un gruppo di dodici combattenti gorthesi: davanti a lei, essi si offrirono interamente ricoperti con pesanti armature che ne celavano le fattezze dall’estremità dei piedi a quella del capo, aprendosi solo in sottili fessure utili a permettere loro una qualche possibilità di vista sul mondo esterno. Tali protezioni, tipiche della cultura e della tradizione del regno, non risultavano essere solitamente adottate negli scontri all’interno dell’Arena quanto nelle battaglie vere e proprie, proponendosi come la risorsa principale di una fra le fanterie pesanti più note e temute della parte meridionale del continente. Al contrario, per i combattimenti a fine ludico, se così potevano definirsi i duelli mortali condotti fino alla caduta di tutti i loro protagonisti su quella fine sabbia, generalmente si proponevano armature molto più leggere, che maggiore agilità, maggiore prestanza permettevano a coloro che sotto di esse cercavano protezione: era evidente, però, come qualcuno dovesse aver deciso che contro una leggenda vivente dello stampo di Midda Bontor, proporre normali guerrieri sarebbe risultato errato, una sottovalutazione tale da risultare addirittura un insulto più che una lode al dio Unico, portando in conseguenza alla scelta discutibile di far intervenire le forze migliori loro concesse, per quanto sotto simili placche di solido metallo agli uomini lì celati non sarebbe stata concessa né velocità né agilità in opposizione a ciò che sarebbe stato preferibile donare loro. Così come dal punto di vista difensivo quella dozzina di fanti era stata equipaggiata oltremisura, altrettanto sproporzionatamente essi si proposero da un punto di vista offensivo, trasportando, oltre al peso non indifferente di quelle armature, anche quello di molteplici armi in un assetto completamente da guerra: due erano infatti le spade pendenti dai loro fianchi, uno delle quali proponendosi nella foggia tipica degli spadoni; due gli stiletti presenti alle loro gambe; una la pesante mazza legata dietro la schiena; ed una l’alabarda che tutti loro reggevano fra le mani avanzando con passo lento ma costante.
Nel contesto di una guerra, per la quale un dispiegamento di armi e di protezioni era stato pensato e spesso utilizzato con grande successo, senza dubbio la presenza di una simile fanteria avrebbe creato un effetto travolgente negli avversari, nella compattezza e nella forza di un passo che nessuno avrebbe mai potuto arrestare, quello di un popolo che solo nella propria forza, nella battaglia, poteva trovare una ragion d’essere. Ma quella in corso all’interno dell’Arena non si proponeva simile ad una guerra e la Figlia di Marr’Mahew non si presentava simile ad un intero esercito a cui poter incutere timore ancor prima di offrire battaglia: osservando i propri avversari, ella non poteva fare a meno di essere sicura di come essi stessero marciando verso la propria fine, imprigionati all’interno di protezioni che, invece di difenderli, li avevano condannati nel momento stesso in cui avevano posto il primo piede sopra quella sabbia. Se anche non avesse voluto affrontarli in maniera diretta, ella avrebbe infatti potuto tranquillamente continuare ad evadere ad ogni loro gesto, ad ogni loro ipotesi d’attacco, con una rapidità tale che sarebbe apparsa quasi divina, nel confronto impari con la lentezza imposta dl peso di tanto metallo sulle loro spalle, ai loro fianchi: ma non era sua intenzione, per loro sfortuna, protrarre eccessivamente a lungo quell’incontro, spendere tempo ed energie contro di loro. Ella aveva sì un ruolo da svolgere, un compito che prevedeva di combattere in quell’Arena, ma nulla nelle istruzioni, nei comandi ricevuti le richiedeva di tergiversare per ore con ogni singola prova che gli organizzatori di quel circo avrebbero pensato per lei.
Levando la mancina, armata, verso il cielo, la donna guerriero rese in tal gesto omaggio a tutti gli spettatori giunti lì per assistere alla di lei gloria, muovendo lo sguardo di ghiaccio a percorrere l’immensità di quegli spalti nella curiosità di poter osservare all’opera la sua compagna, ovunque ella fosse.

« In tredici ora si muovono davanti ai nostri occhi, signore e signori. » riprese la voce del presentatore, ancora immobile nella sua posizione centrale « Dodici contro uno, per la prima prova offerta alla donna che si propone essere più di una comune mortale, nelle cronache delle proprie gesta. Riuscirà Midda Bontor a dimostrare ora, davanti a tutti noi ed allo sguardo onniveggente dell’Unico, a dimostrare il proprio valore? Solo il sangue saprà offrirci una risposta… »

In conclusione quelle parole, un sofisticato congegno a botola, sostenuto da un gioco di contrappesi, vide l’uomo scomparire lentamente, allontanandosi da quella che sarebbe stata l’area di lotta senza compiere un solo passo nell’immergersi in quelli che erano i sotterranei dell’Arena: rimasti soli, i tredici guerrieri avrebbero ora dovuto combattere fino allo sterminio di una delle due fazioni in contrapposizione fra loro, fino alla morte inevitabile dei fanti o della mercenaria. E quest’ultima, senza perdere un solo istante di tempo, scattò rapida e silenziosa verso i tre che le si proponevano di fronte, ad un centinaio di piedi di distanza, correndo nella loro direzione senza alcuna esitazione, senza alcuna incertezza, senza alcun timore.
I tre uomini, indubbiamente tali sotto le proprie pesanti armature laddove la fede gorthese non avrebbe mai permesso a delle donne non pagane il combattimento, non si fecero porre in soggezione dal movimento deciso dell’avversaria e continuarono a marciare compatti, in fila, abbassando le proprie alabarde a posizionarsi parallele al suolo con movimenti perfettamente coordinati fra loro. La distanza fra le due parti si accorciò rapidamente, vedendo la donna sempre più sfrenata verso gli avversari ed essi imperterriti nel proprio cammino, nel condurre passo dopo passo la propria strada verso di ella: cinquanta piedi di distanza, trenta piedi di distanza, quindici piedi di distanza, dieci piedi di distanza, e la situazione rimase immutata, verso lo scontro considerato ormai inevitabile fra loro, verso quelle picche affilate rivolte alla mercenaria, davanti alle quali tutti non potevano evitare di domandarsi in quale modo ella avrebbe mai potuto evitarle, come avrebbe mai potuto non infrangere il proprio corpo scoperto, praticamente nudo nel confronto con gli altri. Solo a sei piedi di distanza, al momento in cui le punte avrebbero dovuto squartare senza pietà il di lei ventre, tutto mutò inaspettatamente, vedendo la mercenaria gettarsi in una lunga scivolata in avanti, abbassandosi così al suolo con la propria schiena giusto in tempo per evitare il catastrofico impatto e, contemporaneamente, per cogliere di sorpresa i propri avversari: essi, lenti e legati quali si ritrovavano ad essere, con un’imposta riduzione di campo visivo data dagli elmi di quelle armature, percepirono semplicemente la scomparsa della propria preda divenuta predatrice, senza poter comprendere dove ella si fosse spostata, dove ella si fosse nascosta. Questo ovviamente almeno fino a quando, un istante dopo, la di lei impietosa lama non si insinuò attraverso le giunture della protezione considerata quasi perfetta indossata dal centrale fra loro, definendo indissolubilmente la prima di quelle che sarebbero state dodici morti, penetrando dall’inguine ed affondando con la propria spada bastarda fino a raggiungere il di lui cuore.
Un boato esplose nella folla, per l’esultanza di quel momento, per l’entusiasmo di quel primo sangue caldo sulla fresca sabbia dell’Arena, acclamando la straniera nel di lei rapido movimento che la vide rialzarsi da terra alle spalle dei due uomini rimasti solo per sferrare un secondo, violento ed infallibile attacco: ancora una volta, senza esitazioni, ella incuneò la propria spada nei sottili spazi concessi dalle articolazioni metalliche delle armature avversarie, infrangendo nuovamente un cuore nel giungere attraverso l’ascella del suo proprietario.

« Non prendertela… » suggerì ella, spingendo il corpo morto verso l’unico superstite nel liberare la propria spada « … ma posso assicurarti che mangiare una magnosa è sicuramente più complesso che superare le vostre difese. »

Il riferimento al crostaceo proposto dalla Figlia di Marr’Mahew ovviamente sfuggì all’uomo che, rigiratosi verso di ella e gettata a terra l’alabarda ormai inutilizzabile ad una distanza così ravvicinata, estrasse il proprio spadone nel desiderio di abbattere l’avversaria, nella certezza che se ciò non fosse avvenuto rapidamente sarebbe stato il suo sangue ad aggiungersi a quello dei due compagni perduti. Purtroppo per egli ogni resistenza era già da considerarsi vana in opposizione alla donna guerriero: i suoi gesti apparvero assurdamente lenti a confronto con quelli di ella, quasi fosse vittima di una sorta di incantesimo sebbene l’unico suo svantaggio risiedesse in un’errata pianificazione di tale incontro, nella scelta di quell’equipaggiamento ed anche laddove l’uomo riuscì a portare la propria pesante spada contro l’obiettivo prefissato, egli non raggiunse la di lei carne ma unicamente il metallo del di lei braccio destro, il quale non si dimostrò minimamente scalfito da tanta enfasi, dal peso di un simile attacco. In quel tentativo di offesa, al contrario, l’uomo si scoprì troppo, ponendosi completamente a disposizione di qualsiasi decisione della propria avversaria: senza trasporto, senza mostrare né particolare gioia né particolare dolore per i propri gesti letali, per quello che dal di lei punto di vista era un normalissimo lavoro, un incarico assegnatole che avrebbe condotto a termine per i propri benefici personali e per alcuna altra ragione, ella pose fine anche alla sua vita, scuotendo il capo nel lasciar cadere quel corpo a terra, così goffo ed impacciato nell’inutile tentativo di difesa rappresentato da quell’armatura.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Via, i fanti saranno un buon riscaldamento per Midda ;)

Sean MacMalcom ha detto...

Praticamente sono Simmental... carne in scatola pronta da consumare! :P