11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 10 aprile 2008

091


L
a mercenaria non attese il termine dell’operazione che vide distruggere la vela della discordia, con il ritorno del clima di serenità sul ponte della goletta entro i limiti del particolare momento di lutto, prima di scomparire nuovamente sottocoperta: il pensiero della possibilità di un sicario a bordo della nave non le concedeva pace e l’idea che due valenti uomini fossero stati abbandonati soli e privi di sensi nelle due cabine minori non era assolutamente di suo gradimento. Affrettando il passo, quasi arrivando a correre nel ritornare verso il cuore della nave, ella si volse rapida ad aprire le due porte, i due usci delle stanze ove erano stati posti a riposo Ron-Hun ed Av’Fahr, tirando un duplice sospiro di sollievo nel ritrovarli illesi: entrambi erano ancora svenuti, adagiati nei letti dove erano stati disposti.
In un momento di indecisione fra i due, ella scelse di provare a risvegliare il colosso d’ebano, comprendendo che prima avesse affrontato con egli ogni questione in sospeso e meglio sarebbe stato per tutti: armata di una bacinella d’acqua e di uno straccio, si accomodò così sul bordo del letto dove giaceva l’uomo, per poi iniziare ad umettargli il volto con delicatezza. Di certo prestare soccorso non era esattamente una delle attività tipiche della sua esistenza, ma ciò non escludeva la conoscenza in lei dei gesti da compiere: in altre occasioni, probabilmente, avrebbe direttamente versato l’acqua dalla catino sul capo dell’uomo, ma dati gli ultimi eventi occorsi aveva deciso di votare in favore di una politica più diplomatica.
Gli effetti del liquido sulla di lui pelle non tardarono a giungere ed un istante dopo egli stava riprendendo lentamente coscienza di sé e del monto circostante.

« Tu! » sussurrò, non avendo ancora l’enfasi sufficiente a scattare come altrimenti avrebbe desiderato fare.
« Ora calmati, colosso, a meno che tu non voglia farti un altro sonnellino. » gli impose ella, con tono fermo ma con una nota di dolcezza modulata volontariamente nella voce.
Egli apparve incerto di fronte a quell’ordine: « Perché? » domandò poi, tentando di scuotere il capo.
« Ascoltami, per favore: Ron-Hun è innocente. » continuò la donna, appoggiandogli una mano sul petto, come a tenerlo fermo « Posso solo immaginare il dolore che tu provi… ma non in lui troverai l’assassino di tua sorella. »
Il gigante dalla pelle d’ebano socchiuse gli occhi a quelle parole, per poi rispondere in un filo di voce: « Comprendo. »
« Sono successe cose strane… gli altri avranno modo di riferirtele. » riprese ella « Ora però è importante che tu ti riprenda rapidamente e torni sul ponte, insieme al resto dell’equipaggio. »
« Ja’N… »
La donna accennò un lieve sorriso, ricco di amarezza, di fronte all’affetto meraviglioso ed invidiabile che legava egli alla sorella perduta: « So di non meritarmelo… ma ti chiedo di avere fiducia in me. Ja’Nihr sarà vendicata... »

Av’Fahr offrì un leggero cenno del capo a quelle parole, per poi contrarre i propri muscoli addominali e risollevarsi dalla branda, ad ubbidire alla richiesta della mercenaria, ad offrirle implicitamente la fiducia da ella domandata.
Senza un’ulteriore parola, Midda aiutò l’uomo ancora intontito per la perdita dei sensi subita prima di lasciarlo libero di proseguire da solo, per potersi dirigere nell’altra cabina a prestar visita a Ron-Hun. Entrata nell’altro spazio simile al primo, con la bacinella e lo straccio ancora fra le mani, la donna guerriero tentò di risvegliare il secondo svenuto, dopo essersi seduta al di lui fianco sul letto dove era stato adagiato ad imitazione di quanto già compiuto: guardando il marinaio mezzosangue di Hyn, ella non poté fare a meno di considerare la differente corporatura fra i due compagni, uniti nello stesso destino eppure fra loro tanto diversi. In effetti fra i due, Ron-Hun appariva senza dubbio il più adatto della vita di mare: con i tratti tipici della propria origine, egli sembrava nato per potersi arrampicare lungo le sartie, per poter saltare fra un albero e l’altro, per potersi mantenere in equilibrio anche nei momenti peggiori, offrendosi in totale contrapposizione rispetto al colosso, il quale si presentava troppo ingombrante, troppo legato dall’eccessiva muscolatura, troppo pesante nella propria massa corporea per potersi adattare agli ambienti ristretti della nave. Però quello stesso fisico più snello, più atletico, più sciolto avrebbe potuto costare al marinaio la vita sotto l’attacco furioso del compagno: come un fuscello era stato sollevato da terra, inerme, simile a bambola di pezza era stato sbattuto contro il soffitto ed incredibile appariva già il fatto che non si fosse rotto alcun osso.

« Sveglia, bell’addormentato. » commentò la donna, umettandogli il viso con delicatezza.

Ma l’uomo non offrì risposta allo stimolo offerto dalle di lei parole, dai di lei gesti: sul volto della mercenaria, a quel punto, scomparve il sorriso per lasciar spazio ad un velo di preoccupazione. Era certa del fatto che pochi minuti prima egli fosse ancora in vita, ma non poté fare a meno di piegarsi a condurre il proprio orecchio contro il di lui petto, a cercarne il battito cardiaco, a sperare di poter ritrovare una sicurezza che già stava vacillando.

« Midda! » richiamò in un’esclamazione la voce di Av’Fahr.

La donna guerriero scattò a quel nome, gettando a terra la bacinella dell’acqua e lo straccio per estrarre in un gesto, spontaneo come lo stesso respirare, la propria spada, ritornando rapidamente nel corridoio. Lì, appoggiato contro una parete appena fuori dalla cabina dove aveva riposato fino a quel momento, era il colosso.

« Che accade? » domandò la donna, fredda nello sguardo, nelle parole e nella mente ma tutt’altro che tale nel proprio cuore.
« Dove è mia sorella? » replicò l’uomo, indicando verso il pavimento con il proprio indice destro: nel punto dove era stato lasciato il corpo di Ja’Nihr, infatti, solo una vasta macchia di sangue rappreso restava a macabra testimonianza del di lei omicidio.
Di fronte a quella scomparsa, la mercenaria strinse l’elsa della propria spada ad un punto tale che le di lei nocche si sbiancarono di netto: « Vieni, presto. » comandò al compagno, afferrandogli il braccio sinistro con la propria mano destra, l’unica libera, a guidarlo verso il ponte, là dove il resto dell’equipaggio della Jol’Ange era radunato, impegnato nell’attività di governo della nave.
Egli non si oppose a quel gesto, lasciandosi condurre verso la breve scalinata, salvo poi domandare nuovamente: « Cosa sta succedendo? Dove è mia sorella? »

Ella non rispose a quella richiesta, non gli offrì parola almeno fino a quando non riemersero alla luce del sole, ritrovando la voce di Salge sbraitante come sempre contro i propri uomini e donne, per spronarli ad agire in opposizione ad una serie di venti a loro sfavorevoli.

« Midda! » esclamò nuovamente il marinaio dalla pelle d’ebano, arrestandosi all’uscita dal sottocoperta « Cosa è successo a mia sorella? Dove avete messo il suo corpo? »
« Non lo so. » rispose la donna a quel punto, ancora stringendo la propria spada nel guardarsi alle spalle, nello scrutare verso la stiva oscura dietro di loro, nel timore di un improvviso attacco.

Ella aveva commesso il più grave errore che avrebbe mai potuto concedersi, lo stesso per cui offriva sempre rimprovero ai propri amici e derisione ai propri nemici: aveva sottovalutato un avversario. Si era dimostrata stupidamente troppo sicura, troppo fiduciosa delle proprie capacità, dei propri sensi, delle proprie forze: e quell’eccesso di sicurezza, quella sopravvalutazione personale, aveva portato ad una perdita imperdonabile.

« Ron-Hun è morto. » scandì la donna guerriero con tono grave.

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